Le foto di nostro figlio, della nonna e anche quelle in cui compare il gatto della nonna, o quelle dove compaiono gatti qualsiasi, le foto dei monumenti, quelle della spiaggia, tutte classificate e raggruppate nel nostro smartphone: non è un umano sottopagato di qualche Paese del terzo mondo che con pazienza certosina le ha ordinate, ma è il frutto di processi automatici che imparano da esempi e sono in grado di riconoscere le facce, gli animali e le cose. Questo è solo uno dei tantissimi prodotti dell’intelligenza artificiale, un insieme di tecniche e metodi informatici che, sintetizzando informazioni dai dati che vengono loro forniti, permettono ai calcolatori di apprendere.
Anche per coloro che conoscono i meccanismi alla base di questi metodi è impossibile non stupirsi osservando la loro prodigiosa efficacia. Per tutti gli altri questo stupore ha verosimilmente la stessa natura di quello provocato dalle prime carrozze senza cavalli. A differenza di allora, tuttavia, questa tecnologia si sta diffondendo in modo volutamente più silenzioso e con velocità e capillarità tali da non lasciare quasi il tempo di rendersene conto.
Le idee da cui è scaturito l’apprendimento automatico sono state introdotte alla fine degli anni Cinquanta
Le idee da cui è scaturito l’apprendimento automatico sono state introdotte alla fine degli anni Cinquanta. Da allora, attraverso un interesse altalenante, sono state introdotte nuove e brillanti soluzioni tecniche, tra cui il cosiddetto apprendimento profondo, che è una di quelle a più alto impatto. Chiaramente sono stati la velocità dei nuovi processori e l’abbondanza di dati a disposizione a favorire l’accelerazione e il boom dei nostri giorni. Dal punto di vista ingegneristico, la struttura di queste nuove macchine si basa su reti ispirate al cervello umano. L’analogia tuttavia va presa con cautela e, in ogni caso, non è più significativa di quella che esiste tra il volo degli uccelli e quello degli aerei che, come sappiamo, non è molto illuminante.
In questa sede può essere utile riflettere, più che sugli aspetti tecnici, sulle eventuali implicazioni che l’arrivo di questa rivoluzione avrà per noi e per il nostro Paese, perché di rivoluzione si tratta – che ci piaccia o meno – e dovremo affrontarla.
La rivoluzione industriale è scaturita dalla capacità di produrre e di trasformare energia, di usarla e di trasportarla in modo sempre più efficiente. Essa si è nutrita e ha nutrito la scienza dell’epoca, in particolare la termodinamica e l’elettromagnetismo. Durante il suo sviluppo, il consumo giornaliero pro capite di energia, che prima era aumentato lentamente, nel tempo ha subito una crescita vertiginosa con tutte le conseguenze che conosciamo. Tra esse c’è certamente il miglior tenore di vita della nostra storia, ma anche trasformazioni epocali – non sempre indolori – avvenute nei periodi transienti e dovute a stravolgimenti e squilibri di risorse e di potere.
La rivoluzione scientifica che stiamo vivendo ora è la più recente fase acceleratoria della rivoluzione digitale. Ora le machine apprendono, cioè sono in grado di sintetizzare informazioni autonomamente, mentre prima questa facoltà era riservata all’uomo e i calcolatori, inclusi i più potenti, avevano solo il compito di elaborare dati secondo regole che venivano esplicitamente date.
La sintesi di informazione pro capite ha iniziato la sua fase di crescita esponenziale. I centri di raccolta dati dei giganti dell’informatica e le macchine che elaborano e digeriscono quei dati – apprendendo da essi – sono da paragonare alle prime grandi centrali della storia moderna dove il carbone veniva digerito in energia. La sintesi di informazione ha quindi affiancato la produzione e la trasformazione di energia nella leadership tecnologica. Per apprezzare appieno la dimensione del parallelo basti osservare che Apple e Amazon valgono insieme quanto le prime dieci compagnie di petrolio del mondo.
La rivoluzione scientifica che stiamo vivendo ora è la più recente fase acceleratoria della rivoluzione digitale
Di fronte a tutto ciò sorgono una moltitudine di reazioni e quesiti. Dalla paura verso qualcosa di umanoide fino a preoccupazioni più articolate, quali il timore di perdere il lavoro ed essere sostituiti da computer intelligenti.
Nel panorama internazionale il nostro Paese si trova in una situazione particolarmente delicata. Da un'iniziativa partita dal governo francese, l’intera Europa si sta coordinando per riuscire a reggere il confronto con Stati Uniti e Cina. I primi, infatti, possono contare su una posizione di vantaggio ottenuta dalla Silicon Valley, la seconda li ha praticamente raggiunti grazie alla centralizzazione politica e alle poderose risorse economiche che ha a disposizione. Nessun Paese europeo può farcela da solo e men che meno l’Italia che non può contare, a differenza di Francia e Germania, su un'industria di scala nazionale che possa anticipare i co-investimenti necessari.
Il nostro Paese ha comunque delle buone opportunità per non rimanere indietro e posizionarsi bene nel continente europeo. Anzitutto ha il capitale culturale necessario per affrontare la sfida. L’irrobustimento della ricerca di punta nel settore dell’intelligenza artificiale può dare un contributo fondamentale. In primis, devono farsi avanti le scienze dure quali la matematica, la fisica e l’informatica, ma anche tutti i necessari studi interdisciplinari che riguardano i campi dell’economia, della giurisprudenza, dell’etica, che dovranno regolare le applicazioni concrete di quelle ricerche. Queste ultime spaziano in direzioni quali il riconoscimento vocale del linguaggio umano, la progettazione di nuovi medicinali, la diagnostica medica, la decodifica funzionale del genoma, la guida automobilistica senza pilota. La struttura economico-finanziaria del nostro Paese, con la sua abbondanza di piccole e medie imprese, avrà la possibilità di alimentarsi e alimentare questi nuovi sviluppi.
Abbiamo il dovere di essere ottimisti nei confronti di queste prospettive. Agli studi bisogna affiancare un lavoro politico di grande attenzione e far sì che le nuove frontiere del digitale esprimano il loro potenziale in modo virtuoso. Una condizione sarà quella di distribuire in modo sensato le opportunità che esse sapranno generare e, soprattutto, di gestire bene il periodo transiente di trasformazione del mondo del lavoro a cui si andrà incontro.
La scienza e i suoi prodotti sono oggi più che mai a nostra disposizione. Più che il remoto e fantascientifico pericolo di essere sterminati da macchine intelligenti, dovrebbe preoccupare quello di dover comprare dall’estero anche i prodotti di questa nuova tecnologia, quando invece abbiamo tutte le risorse di ingegno per produrla ad altissimo livello.
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