Anche nel creare un regime demografico dove donne e uomini in età fertile possano realizzare facilmente, e felicemente, la compatibilità fra una pluralità di obiettivi di vita, tra i quali essere genitori e lavoratori, l’Italia è un Paese arretrato.Non ha tenuto il passo dei Paesi più avanzati e, anzi, si distingue per essere sempre in fondo alle classifiche stilate in base a indicatori che misurano la fecondità, ma anche l’uguaglianza di genere, il lavoro femminile e gli investimenti pubblici per le famiglie.
Nell’uguaglianza di genere complessiva, in una classifica di 144 Paesi del mondo, nel 2017 l’Italia risulta solo 82ª, perdendo decine di posizioni rispetto agli anni precedenti (Global Gender Gap Report, World Economic Forum, 2017), superata non solo da tutti i Paesi del Centro Nord Europa, ma anche dalle vicine Slovenia e Grecia. Posizione che precipita per la parità di genere nella situazione economica (118ª), nella partecipazione lavorativa (89ª), nei salari femminili tout court (103ª) e per il gap salariale di genere (126ª). Il tasso di occupazione femminile (dai 20 ai 64 anni) rimane tra i più bassi d’Europa: pur in risalita dopo gli anni della Grande Recessione, è arrivato nel 2017 solo al 52,5%, con un divario con l’occupazione maschile tra i più alti, seppure – complice un maggiore tasso di disoccupazione maschile – sceso al di sotto del 20%. Nello stesso anno il tasso di occupazione femminile era in Spagna quasi del 60% (con un divario di genere sotto l’11%), in Francia quasi del 67% (con un divario sotto l’8%), in Svezia quasi dell’80%, con un divario di 4 punti.
Tuttavia, anche in Italia, negli anni della crisi una delle principali novità è stata proprio il ruolo del lavoro retribuito delle donne, sempre più decisivo sia per le scelte di formare una famiglia e avere dei figli, sia per la condizione economica della famiglia stessa (R. Carlini, Come siamo cambiati. Gli italiani e la crisi, Laterza, 2015). Ancora più dell’occupazione delle donne è salito il tasso di attività femminile (cioè la somma delle donne occupate con quelle che cercano lavoro), arrivato a quasi il 60% nel 2017, segnando un netto calo delle inattive. Al tempo stesso, però, è cresciuta molto la quota di lavori temporanei (quasi il 20% delle donne occupate ha da almeno cinque anni un contratto a termine), che creano incertezza e portano al rinvio rispetto alla scelta di fare figli. Rimane una forte differenza nell’impegno lavorativo tra le donne dai 25 ai 49 anni senza figli (pari ad oltre il 72%) e le madri invece di uno o più figli sotto i 6 anni (pari al 55%). Le differenze sono minori, ma superano sempre i dieci punti percentuali, per le laureate e le donne che vivono al Nord (Istat, Indagine conoscitiva sulle politiche in materia di parità tra donne e uomini, 2017).
[L'articolo completo, pubblicato sul "Mulino" n. 5/18, pp. 766-773, è acquistabile qui]
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