“Il ministro degli Affari Esteri Enzo Moavero Milanesi ringrazia l’Albania per la decisione di accogliere 20 profughi della nave Diciotti. Un segnale di grande solidarietà e amicizia molto apprezzato dall’Italia”. È cominciato così, con un cinguettio della Farnesina alle diciotto e cinquantasette di sabato 25 agosto, una vicenda social che ha tanto da raccontare sull’Italia, sull’Albania e sul nostro presente. Per decisione del ministro dell’Interno Matteo Salvini, la nave militare Diciotti, che nei giorni attorno a ferragosto aveva recuperato al largo di Lampedusa 177 persone provenienti dalla Libia, è rimasta bloccata nel porto di Catania per giorni. Lo sbarco dei 137 rimasti a bordo viene autorizzato nella notte tra sabato e domenica, dopo che alcuni Paesi “generosi” hanno fatto sapere di poter accogliere chi venti, chi venticinque richiedenti asilo. In quelle stesse ore il procuratore di Agrigento iscrive Salvini nel registro degli indagati: sequestro di persona, abuso d'ufficio e arresto illegale sono i reati contestati al ministro. Sui social la tempesta infuria, quand’ecco che dai marosi dell’odio emerge una terra pensante e solidale: il Paese di Edi Rama.
Due interviste al “Corriere della Sera”, entrambe a firma di Leonard Berberi (giornalista di origini albanesi che con il governo di Tirana tiene un filo diretto) hanno spiegato al lettore italiano le belle ragioni della solidarietà dei nostri vicini: “Quando gli eritrei eravamo noi, ventisei anni fa, voi italiani ci avete aperto le porte, ci avete ospitati in casa, ci avete dato da mangiare. Oggi vogliamo restituire, anche se in piccolo, quel favore”, dichiara a caldo il ministro degli Esteri Ditmir Bushati. Il giorno dopo Berberi passa il microfono al primo ministro Edi Rama: “Abbiamo sempre ospitato le popolazioni in pericolo. Ricordo gli ebrei in fuga dai nazisti. Ricordo il mezzo milione di kosovari nel 1999. Ricordo i tremila iraniani liberati dalle galere dell’Iraq. Ricordo i siriani arrivati questi mesi. Non abbiamo perso il senso della storia, sogniamo un futuro migliore e in un’Europa compiuta secondo lo spirito dei padri fondatori. Uscire dall'Ue vuole dire uscire dalla Storia, cambiare l'Ue è entrare nel futuro”.
Sotto il cielo di internet, la commozione è grande. E non potrebbe essere altrimenti: in mesi vergognosi per la politica italiana, in un momento storico in cui l’europeismo è una grigia e moderata retorica per élite screditate, questo afflato di solidarietà viene da fuori i confini dell’Unione, da un Paese candidato che non gode ancora dei diritti della cittadinanza europea ma che ne mastica già i valori, i doveri. Il discorso con cui Edi Rama entra nella vicenda Diciotti è qualcosa di più di un ragionamento condivisibile: è la visione di un grande leader europeo, di un politico che ha il coraggio di guardare negli occhi la tragedia della Storia, di un governante consapevole della responsabilità che soprattutto chi governa dovrebbe dimostrare nei confronti dei più deboli.
Quella stessa mattina, mentre sull’onda delle emozioni anche io stavo cercando una foto di Rama da sostituire al poster di Churchill, mi sono imbattuto in questa intervista a Lorenzo Trucco, il presidente dell’Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione (Asgi), il quale sommessamente ricordava che per gli sbarcati della Diciotti l’opzione albanese è “fuori da qualsiasi piano giuridico”. Il giorno dopo l’Asgi ha pubblicato un più ampio comunicato che in altre epoche sarebbe apparso ovvio, per ricordare al governo italiano che “i migranti giunti in Italia non potranno in alcun modo essere trasferiti in Albania”, perché “il Paese non è parte dell’Unione europea e il suo sistema normativo in materia di protezione internazionale non è conforme al Sistema comune europeo di Asilo”. In buona sostanza, ai sensi della Costituzione italiana (art. 10, c. 3), tutti i migranti della Diciotti giunti in Italia hanno il diritto di chiedere asilo allo stato italiano e in assenza di una “libera scelta del richiedente” nessuna norma nazionale o internazionale ne potrà consentire il trasferimento in un Paese terzo.
Sono passati 5 giorni dal tweet della Farnesina, e nessun richiedente asilo della Diciotti è stato avvistato in Albania. In attesa di sviluppi concreti, gli albanesi si chiedono cosa faranno eventualmente questi eritrei, in un Paese che non conosce l’immigrazione e da cui soprattutto i giovani cercano via asilo una via di fuga (nel solo 2018, 367.000 cittadini albanesi, pari al 13% dell’intera popolazione, hanno applicato per la Lotteria Carta verde, il programma americano che offre un regolare soggiorno negli Stati Uniti). Modulando i diversi registri di cui dispone, in patria la politica albanese non ha insistito più di tanto sulla volontà di accogliere venduta al “Corriere della Sera”, lo si desume dalla pagina Facebook di Rama, uno strumento che il primo ministro utilizza per dialogare con l’opinione pubblica interna: il 25 agosto abbiamo un selfie con Cristiano Ronaldo, a seguire belle spiagge locali e le condoglianze a McCain, “amico degli albanesi”.
Lato italiano la vicenda sembra altrettanto superata. A troncarla lo stesso Salvini su twitter, con l’onestà intellettuale che gli è propria: “Per pres. dell'Asgi (Ass. Studi Giuridici sull'Immigrazione, finanziata da Soros) per portare immigrati della Diciotti in Albania occorre il loro consenso, altrimenti sarebbe ‘ALLONTANAMENTO COATTO’. Dicono che scappano dalla guerra e fanno gli schizzinosi su dove andare? DELIRIO”. Il mezzo è nuovo ma il contenuto no.
Stando alla ricostruzione che Salvini ha consegnato ai microfoni dell’emittente albanese Vizion Plus, Tirana non si sarebbe proposta, è stato il governo italiano a chiedere la disponibilità di Paesi al di fuori dei confini dell’Unione. Se così fosse – alla luce dei rapporti di forza è verosimile – l’episodio è da ascrivere alla secolare sudditanza dei governi albanesi (indipendentemente dagli inquilini di Palazzo Chigi) più che alla storia della solidarietà europea, in questo caso peraltro al servizio della strategia salviniana.
Comunque sia andata, tanto il governo italiano quanto il governo albanese hanno lucrato consenso da una proposta giuridicamente irrealizzabile, senza alcuna attenzione per le persone coinvolte, trattate alla stregua di ortaggi. L’attore “cattivo” ha utilizzato la disponibilità albanese per dimostrare che, qualora chiesto con la forza, l’impegno degli altri Paesi arriva. Per non rimanere con il cerino in mano, l’attore “buono” ha travestito le propria debolezza da solidarietà, incarnando un discorso politico in cerca di rappresentanti, che ha il pregio di accreditarlo nell’attualità europea, proprio come una foto con CR7. Sia chiaro, tenere insieme interessi, soluzioni e valori è il mestiere del buon politico, e a differenza del ministro italiano il primo ministro albanese poteva in questo frangente ambire alla categoria: ma alla pari del primo, nemmeno il secondo si è posto il problema della fattibilità del piano, e dunque degli esseri umani a cui dice di voler dare una mano. La dura verità offline, è che non c’è stato alcun confronto o studio preventivo nel merito, soltanto uno scambio (impari) tra due ministri degli Esteri. Giusto il tempo di concordare un tweet che portasse likes a entrambi i profili.
Sia in Italia che in Albania, la webpolitica sta costruendo un’arena pubblica in cui senza responsabilità si pronunciano non soltanto le parole cattive, ma anche le parole buone. In questo senso, Rama torna ad avere ragione: l’Albania è un Paese amico dell’Italia, ed è già un Paese europeo.
[Questo articolo si può leggere sul sito di Osservatorio Balcani e Caucaso / Transeuropa]
Riproduzione riservata