Il faccione di Karl Marx a Chemnitz, fino al 1990 Karl Marx Stadt, in Sassonia, Germania orientale,
ne avrà viste tante in questi anni. Ora qualcuna in più: una considerevole manifestazione di neonazisti e facinorosi vari (ai quali si sono aggiunte persone qualunque che da anni contestano le politiche sui rifugiati di Angela Merkel), che hanno pensato bene di farsi giustizia da soli contro gli stranieri, proprio sotto il motto, riprodotto in più lingue, Proletari di tutto il mondo unitevi. Forse, più semplicemente, hanno sfruttato l’occasione di una tragedia per fare il grande passo e mostrare al Paese che loro, i neonazisti, ci sono e sono ben organizzati.
Nella notte di sabato scorso, secondo le prime ricostruzioni, scoppia una rissa durante una festa cittadina a Chemnitz. La rissa è violenta: un uomo è ferito gravemente da un colpo di coltello e morirà poco dopo in ospedale, altri due vengono feriti. Quasi immediatamente sono intercettati dalla polizia due giovani richiedenti asilo, un siriano e un iracheno, giovanissimi (hanno ventitré e ventidue anni, il ragazzo ucciso ne aveva trentacinque). La polizia, inizialmente, non dirama nel suo comunicato dettagli relativi alla nazionalità dei due indiziatati. Ma sui social parte la solita catena, spesso fatta di notizie false (ad esempio l’uomo sarebbe morto per difendere una donna da una violenza sessuale, subito bollata da una delle responsabili nazionali di AfD come una mattanza che continua), e in poche ore a Chemnitz si apre la caccia all’immigrato: nella città si radunano già domenica movimenti di estrema destra, le prime immagini dei video su internet mostrano atteggiamenti violenti contro chiunque non appaia tedesco. Gli slogan sono chiari: “Resistenza”, “Noi siamo il popolo” (il celebre “Wir sind das Volk” della Riunificazione), “la Germania ai Tedeschi, fuori gli stranieri”. Il giorno dopo, lunedì, vengono convocate due manifestazioni, da un lato chi se la prende con gli immigrati anzi, più in generale, con gli stranieri. Dall’altro democratici e antifascisti. La Polizia ammette di non aver uomini sufficienti per gestire la situazione con la dovuta tranquillità; Angela Merkel si scaglia contro la “caccia alle streghe” (“che non ha nulla a che fare con lo Stato di diritto”) e condanna le violenze.
Da subito è un susseguirsi di commenti, il più delle volte azzardati e pericolosi. AfD legittima le violenze con un argomento abbastanza semplice quanto delirante: se lo Stato non protegge i suoi cittadini, questi si organizzano da soli. Sarebbe interessante conoscere la loro posizione quando case vengono occupate per evitare speculazioni edilizie e per dare una casa a chi non può più permettersela. Il partito, comunque, è in crescita in tutta la ex Germania dell’Est, in Sassonia è al 25% (rispetto a una media nazionale che si aggira intorno al 17%), e cerca di sfruttare l’onda per mietere nuovi consensi.
Adesso è probabile che ricominceranno i dibattiti sulla riunificazione fallita e sulle scellerate politiche dell’Agenda 2010. Su un Est mai del tutto integrato nella Repubblica federale, ma quasi “occupato” dall’Occidente e ridotto a colonia (analoga fine spetterebbe oggi al sud Europa, visto che la classe politica attuale della Repubblica federale sarebbe, in buona parte, ancora quella della riunificazione). E sulle colpe della Spd di Schröder che avrebbe aumentato il “precariato”, parola che in Germania non esiste e che si traduce in vario modo: aumento del lavoro non indeterminato, limitazione dei sindacati, salari bassissimi e obbligo di entrare nel girone infernale dell’Hartz IV, il sistema di previdenza per chi non ha un lavoro o vive al di sotto della soglia di dignità.
Tutto (in parte) vero. Tuttavia, sono spiegazioni che non convincono del tutto.
La prima osservazione riguarda la sottovalutazione della crescita dell’estrema destra. È indubbio che le violenze di Chemnitz, per quanto non preparate, provengano in gran parte da gruppi organizzati (magari su diversi fronti: hooligans, Pegida, storiche organizzazioni neonaziste…). Gruppi che hanno fatto della lotta contro gli stranieri e le politiche di accoglienza il loro alfabeto politico, acquistando nuovi consensi. Una nuova destra radicale che non rischia tanto di compromettere lo Stato di diritto ma è certamente consistente il pericolo di una impennata della violenza politica. Già considerevolmente aumentata negli ultimi anni e mentre a Berlino qualcuno ha fatto per troppi anni facili equiparazioni con la violenza dell’estrema sinistra (smentite anche semplicemente dai numeri forniti dal ministero degli Interni), la violenza politica neonazista veniva tollerata, liquidata a problema di ordine pubblico. Terrorismo islamico e occupazioni illegali delle case erano questioni ben più importanti.
In secondo luogo, va segnalato come anche in Germania il linguaggio politico si stia sempre più inquinando: oltre a AfD, va segnalato ad esempio il vicepresidente della Fdp che accusa addirittura il “Wir schaffen das” (“possiamo farlo”) di Angela Merkel, legittimando di fatto le violenze. Va segnalata l’ennesima prova della radicalizzazione dei liberali della Fdp, convinti di poter drenare voti soprattutto ai conservatori e di presentarsi tra tre anni come partner indispensabile per una coalizione e, quindi, di indicare addirittura il prossimo cancelliere federale. Operazione rischiosissima che è alla base della decisione di far naufragare, l’autunno scorso, la coalizione con Grünen e conservatori.
Infine, per quanto possa sembrare paradossale, l’opposizione non dovrebbe riavviare l’eterno scambio di responsabilità ma concentrarsi sul da farsi e sulle autentiche priorità di questa fase. Per essere più precisi: l’accusa ai provvedimenti dell’Agenda 2010 è in parte vera ma serve, prevalentemente, a uso e consumo dei critici della socialdemocrazia tedesca, che teorizzano la necessità di superare la Spd, ormai considerata del tutto interna al campo conservatore o quello neoliberista. Non spiegano, però, perché a fronte di una Spd in caduta libera nei sondaggi la Linke recuperi poco o niente. Le condizioni sono mature per una inversione nella politica progressista tedesca: solo tornando a mettere al centro di una nuova mobilitazione civile e sociale questioni come la casa, la scuola, il salario, sarà possibile costruire alleanze vere tra comunità e individui che faticano a trovare un comune sentire. Tutto il contrario tanto di una prosecuzione della strada tracciata sino ad oggi dalla dirigenza socialdemocratica, tanto dell’investimento nella lotta all’Unione europea per puntare ad una sorta di “socialismo nazionale”.
La solidarietà non può essere soltanto evocata ma concretamente realizzata tramite vertenze vere, di massa, con rivendicazioni chiare e precise, che permettano di far incontrare le persone, di farle condividere obiettivi e strategie. E per fare tutto questo servono forze organizzate.
Lo spazio all’estrema destra non si toglie solo fisicamente organizzando contromanifestazioni: occorre che la popolazione europea, nelle sue varie componenti, quelli nati qui e quelli che hanno deciso di stabilirsi qui, stili una lista di priorità e su questo organizzi un movimento, faccia pressione, abbia il coraggio di riempire le strade in altro modo rispetto a chi le usa solo per scatenare una indegna e inaccettabile caccia allo “straniero”.
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