Il tasso di occupazione femminile italiano ormai sfiora il 50% e il divario di genere nell’occupazione si è ridotto, anche per effetto della contrazione degli indicatori maschili dovuti alle crisi economica. Ma che succede quando varchiamo le pareti domestiche? Il gap nel lavoro domestico e di cura si riduce specularmente a quello dell’occupazione o la donna occupata continua a fare Cenerentola? Gli uomini diventano finalmente corresponsabili della gestione della famiglia, o continuano a comportarsi secondo ruoli di genere tradizionali?

L’Italia in effetti è uno dei Paesi Oecd, assieme a Portogallo e Irlanda, con le più ampie differenze di genere nel lavoro familiare: nel 2014 le donne che vivono in coppia a doppio reddito, ne continuano a portare sulle spalle più del 70% (Unece 2017). Venticinque anni fa però lo squilibrio era decisamente più marcato e non scendeva in nessuna tipologia di coppia al di sotto dell’80%. La buona notizia dunque è che qualcosa sta cambiando, seppure con lentezza. Nel 2014, nelle coppie giovani (25-44 anni) a doppio reddito il peso delle attività domestiche portato dalle donne si è alleggerito di quasi cinque punti percentuali rispetto a 6 anni prima, arrivando al 67,3% (Istat 2016). Ovviamente l’indicatore è maggiore per le coppie meno giovani e supera ancora l’80% per le famiglie monoreddito, ma è comunque il segno di un progressivo avvicinamento a modelli di genere più egalitari.

L’Istat mostra che, negli ultimi 25 anni, le donne occupate hanno sì ridotto le attività di lavoro domestico di oltre un’ora, ma per dedicare più tempo alla cura dei figli (+ 41 minuti) e agli spostamenti (+ 35 minuti) e non per attività ricreative (Unece 2017). Nello stesso periodo, gli uomini dedicano un po’ più tempo al lavoro domestico (+ 13 minuti) e soprattutto a quello di cura  (+ 33 minuti), riducendo invece il loro tempo libero. Certo un incremento medio annuo di meno di due minuti in un quarto di secolo non pare granché e ci dà la misura della riluttanza ad adottare modelli di genere nuovi. È pur vero però che proprio negli ultimi anni il cambiamento sembra accelerare il passo.

I segnali di cambiamento non possono farci dimenticare le profonde disuguaglianze che comunque permangono nella gestione delle faccende domestiche. È utile in questo senso confrontare il tempo dedicato al lavoro domestico da uomini e donne che vivono in coppia a seconda del numero di figli e dell’età del bambino più piccolo (Fig. 1). Le italiane non dedicano mai meno di 3 ore e 20 minuti al lavoro casalingo, quale che sia la loro tipologia familiare, mentre i padri mai più di 1 ora e 20. Il divario di genere è sempre di almeno 2 ore. Le donne per gestire il caso più faticoso di una famiglia con tre figli, di cui almeno uno tra 6 e 12 anni, devono dedicare 4 ore e 36 minuti alle faccende domestiche, gli uomini 1 ora e 20, come chi non ha figli!

Dando un’occhiata a cosa succede Oltralpe, scopriamo che in Francia il divario di genere nelle attività domestiche è assai più contenuto (Fig. 1): i padri francesi sono un po’ più coinvolti degli italiani (solo per pochi minuti però), e non diminuiscono il loro impegno al crescere della prole.  La vera differenza però la fanno le madri francesi che non arrivano mai a dedicare tre ore ai lavori domestici, neanche nel caso di famiglie numerose. E’ colpa dunque delle donne italiane se il divario di genere permane? Certamente no, ma la mancanza di possibilità ad esternalizzare servizi domestici e di cura, nonché le aspettative del contesto culturale italiano, non aiutano le donne a ridurre e/o delegare il loro impegni familiari, facendole restare ancora un po’ Cenerentole.

Il tempo dedicato alla cura per i figli merita un discorso a parte. Le disuguaglianze certamente permangono: la fig. 2 mostra come, a parità di altre condizioni, le donne dedicano circa il doppio del tempo alla cura di figli rispetto ai padri, quale che sia il numero e l’età dei figli (Paihlé, Solaz e Tanturri, in corso di stampa). Sono ancora le madri che perlopiù gestiscono la vita dei bambini e si occupano dei loro bisogni primari, delle cure fisiche, di sorvegliarli, mentre i padri sono più coinvolti in attività più gratificanti come il gioco (Istat 2016). Dai confronti internazionali emerge che i padri italiani non sono “peggio” di altri per la quantità di tempo dedicato alla cura dei figli, ma rispetto ai padri del Nord Europa tendono a stare meno da soli con i figli assumendo più raramente la piena responsabilità nella loro cura.

E’ interessante riflettere sul fatto che nonostante la fecondità sia sempre più bassa, il tempo dedicato ai figli aumenti tanto per gli uomini che per le donne. Questa è una tendenza che si riscontra in tutti i Paesi sviluppati: è come se la negoziazione delle attività di cura tra padri e madri lavoratrici avesse regole diverse. Le donne, se lavorano e sono più istruite, fanno meno faccende domestiche, ma non rinunciano a stare con i figli, anzi trascorrono comunque più tempo con loro, investendo nella relazione. E lo stesso cominciano a fare i padri: più sono istruiti, più si occupano dei figli e anche della casa, aderendo a modelli di genere diversi (Paihlé, Solaz e Tanturri, in corso di stampa, DOI: 10.1007/s10680-018-9470-8). In conclusione, i dati sull’uso del tempo ci svelano una realtà composita. I giovani aderiscono a modelli di coppia più egalitari, ma nell’ambito domestico il divario di genere è ancora ampio. Cenerentola è a metà del guado, il suo Principe si impegna un po’ di più per i figli, ma pare ancora riluttante a lavare i pavimenti.

[Questo articolo è pubblicato anche su Neodemos.info]

 

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