Le elezioni amministrative di domenica scorsa hanno scattato una fotografia piuttosto fedele dello stato di salute dei partiti italiani e dei loro rispettivi rapporti di forza. Ovviamente, per ora siamo solo al primo tempo di una partita che si chiuderà definitivamente, almeno a livello locale, soltanto con i ballottaggi del 25 giugno. Fino ad allora, è bene aspettare a fare la conta dei comuni presi o persi dai vari schieramenti, mentre può essere utile ricavare alcune lezioni dal primo turno di votazioni. Ne propongo quattro.

Prima lezione: le coalizioni contano e, nella maggior parte dei casi, vincono. A livello comunale, dove vige un sistema sostanzialmente presidenzialistico (il famoso «Sindaco d’Italia»), la dinamica maggioritaria della competizione elettorale spinge e incentiva i partiti a formare coalizioni ampie e plurali, in grado di intercettare la maggioranza dei consensi. Se nel 2016 ci eravamo illusi che il bipolarismo municipale fosse scomparso sull’onda delle eclatanti vittorie dei 5 Stelle a Roma e Torino, queste elezioni ci ricordano l’importanza di saper creare, soprattutto per i partiti principali di centrosinistra e centrodestra, alleanze elettoralmente competitive e credibili.

Seconda lezione: se è vero che le coalizioni vincono, è ancor più vero che al loro interno ci sono partiti che si sono rafforzati più degli altri e hanno favorito la vittoria dei loro rispettivi schieramenti. Il caso più lampante è sicuramente quello del centrodestra, il quale da un punto di vista strettamente elettorale deve la sua ottima prestazione in queste elezioni al traino radicale della Lega Nord e, in misura minore, della destra estrema (Fratelli d’Italia, Alleanza nazionale ecc.). Come mostrano i dati della nostra analisi condotta sui 160 comuni superiori ai 15 mila abitanti andati al voto domenica scorsa, se Forza Italia perde all’incirca 4 punti percentuali rispetto alla tornata precedente, la Lega compie un balzo in avanti in rapporto sia alle comunali del 2012 (+3,2) sia alle politiche del 2013 (+7,9). Peraltro, la nuova ligue nationale di Salvini, dal sapore lepenista, dimostra di saper crescere anche nelle regioni del Centro e del Sud Italia, un tempo un terreno di impossibile/impensabile penetrazione per i leghisti padani «prima maniera».

Nell’ambito del centrosinistra, il Pd esce da questo primo tempo di elezioni con un sostanziale pareggio. Per dirla con le parole di un suo ex segretario, il Pd «è arrivato primo, ma non ha vinto». Nelle elezioni amministrative, in cui prevale la frammentazione e l’esplosione delle liste più o meno limpidamente civiche, il Pd può contare su un zoccolo duro di elettori che si aggira attorno al 20%, in crescita rispetto al dato del 2012 (18%). Tuttavia, perde una parte di consensi soprattutto nelle regioni centrali d’Italia, dall’Emilia-Romagna fino al Lazio. Una perdita che non è compensata dalle liste della galassia della sinistra alternativa o radicale (che rimangono sostanzialmente bloccate attorno al 5% dei voti), ma spesso dalle (finte) liste civiche orientate verso il centrosinistra, che permettono all’intera coalizione di rimanere competitiva nei contesti locali.

Terza lezione: se il bipolarismo classico, quello tra centrodestra e centrosinistra, si rafforza, a pagarne le spese sono soprattutto i candidati e le liste del Movimento 5 Stelle. Nel confronto con la tornata elettorale precedente, il risultato dei pentastellati è leggermente positivo (+0,5 punti percentuali), frutto in particolare della crescita dei consensi nel Centro-Sud. Ma se il M5S è rimasto grosso modo quello di cinque anni fa, significa che il partito di Grillo a livello locale ha un problema serio di radicamento e sviluppo, legato sia alle decisioni, più tattiche che strategiche, della sua ristretta dirigenza sia alle qualità della classe politica comunale e alle procedure utilizzate per selezionarla, reclutarla e, talvolta, epurarla. Il «ritardo di crescita» del M5S nel contesto dei comuni italiani non deve però alimentare false illusioni sulla forza dei grillini sul piano nazionale. Ormai sappiamo da tempo che l’elettorato classico dei 5 Stelle è fatto a fisarmonica: si restringe quando la competizione è locale, ma poi si allarga incredibilmente quando in palio c’è il governo nazionale. Molto dipenderà, in futuro, dalla qualità dei «suonatori» e dallo spartito che i grillini decideranno di seguire, tanto a livello comunale quanto su quello nazionale.

Quarta e ultima lezione: considerata la debolezza strutturale del M5S nei comuni italiani e, in modo speculare, la rinascita delle coalizioni nel centrodestra e nel centrosinistra, è evidente che si sta creando sempre più una frattura tra due diversi sistemi politici: quello locale, orientato all’aggregazione in poli e coalizioni omogenee, e quello nazionale, destinato per il momento alla scomposizione in partiti(ni) singoli e isolati. La convivenza tra questi due sistemi è tutt’altro che facile e, anzi, in futuro sarà foriera di tensioni e contraddizioni, in particolare all’interno delle due coalizioni che oggi festeggiano il loro «rinascimento» municipale. Non sappiamo quale dei due sistemi finirà per prevalere, ma per ora possiamo limitarci a osservare che la rottura del patto sul finto modello elettorale tedesco tra i quattro maggiori contraenti ha evitato che la disgregazione del quadro partitico nazionale si riproducesse, a cascata, sul piano locale.

 

[Questo contributo è frutto del lavoro di analisi del gruppo di ricerca elettorale che fa capo all’Istituto Carlo Cattaneo]

 

Tabella 1. Il voto al Partito democratico nei 160 comuni superiori al voto (valori percentuali)

 

Comunali 2012

Politiche 2013

Comunali 2017

Diff. 2017-2012 (p.p.)

Diff. 2017-2013 (p.p.)

Nord-Est

21,1

26,2

22,1

+1,0

-4,1

Nord-Ovest

17,2

22,6

18,8

+1,6

-3,8

Regioni “rosse”

27,2

30,5

26,5

-0,3

-4,0

Centro

18,3

22,8

14,8

-3,5

-8,0

Sud

12,9

19,0

16,2

+3,3

-2,8

Italia

18,1

23,3

19,7

+1,6

-3,6

 

Tabella 2. Il voto ai partiti di sinistra nei 160 comuni superiori al voto (valori percentuali)

 

Comunali 2012

Politiche 2013

Comunali 2017

Diff. 2017-2012 (p.p.)

Diff. 2017-2013 (p.p.)

Nord-Est

6,2

2,6

5,8

-0,4

+3,2

Nord-Ovest

3,6

2,1

2,8

-0,8

+0,7

Regioni “rosse”

7,2

2,8

5,0

-2,2

+2,2

Centro

3,8

3,0

3,2

-0,6

+0,2

Sud

4,8

4,1

4,4

-0,4

+0,3

Italia

5,4

3,2

4,8

-0,6

+1,6

 

Tabella 3. Il voto al Movimento 5 Stelle nei 160 comuni superiori al voto (valori percentuali)

 

Comunali 2012

Politiche 2013

Comunali 2017

Diff. 2017-2012 (p.p.)

Diff. 2017-2013 (p.p.)

Nord-Est

9,6

22,8

10,6

+1,0

-12,2

Nord-Ovest

12,9

27,8

9,2

-3,7

-18,6

Regioni “rosse”

12,9

28,4

10,6

-2,3

-17,8

Centro

7,5

30,3

11,0

+3,5

-19,3

Sud

3,8

27,2

8,0

+4,2

-19,2

Italia

9,3

26,6

9,8

+0,5

-16,8

 

Tabella 4. Il voto a Forza Italia/Popolo della libertà nei 160 comuni superiori al voto (valori percentuali)

 

Comunali 2012

Politiche 2013

Comunali 2017

Diff. 2017-2012 (p.p.)

Diff. 2017-2013 (p.p.)

Nord-Est

14,9

20,2

11,6

-3,3

-8,6

Nord-Ovest

14,4

18,4

9,7

-4,7

-8,7

Regioni “rosse”

12,8

19,6

8,2

-4,6

-11,4

Centro

14,9

26,0

11,0

-3,9

-15,0

Sud

13,9

28,4

10,1

-3,8

-18,3

Italia

14,3

23,7

10,4

-3,9

-13,3

 

Tabella 5. Il voto alla Lega Nord nei 160 comuni superiori al voto (valori percentuali)

 

Comunali 2012

Politiche 2013

Comunali 2017

Diff. 2017-2012 (p.p.)

Diff. 2017-2013 (p.p.)

Nord-Est

10,1

9,3

14,7

+4,6

+5,4

Nord-Ovest

9,2

8,7

14,8

+5,6

+6,1

Regioni “rosse”

2,5

1,2

6,9

+4,4

+5,7

Centro

3,4

0,2

5,2

+1,8

+5,0

Sud

-

0,2

1,9

+1,9

+1,7

Italia

8,3

3,6

11,5

+3,2

+7,9

 

Fonte: Istituto Cattaneo.

Legenda: Nord-Ovest: Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia; Nord-Est: Veneto, Trentino Alto-Adige, Friuli Venezia-Giulia; Regioni “rosse”: Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Umbria; Centro: Lazio, Abruzzo, Sardegna; Sud: Molise, Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia.