Nelle confuse discussioni degli ultimi giorni, è emersa una singolare opinione secondo cui, per l’Italia, avere un governo in questo momento non sarebbe poi così importante. Basterebbe far funzionare il Parlamento, mantenendo in carica l’esecutivo Monti per l’ordinaria amministrazione. È un’opinione non condivisibile per diversi motivi.
Il primo, e più importante, è che l’Italia ha bisogno di partecipare con un governo con pieni poteri al policy-making europeo. L’Europa sta scherzando col fuoco: la sua complessiva impostazione di politica economica è ancora dominata dal partito estremista del rigore di bilancio, secondo il quale l’unica cosa importante sono i saldi di finanza pubblica degli Stati membri. Ma con questo fuoco rischiamo di bruciarci noi, insieme agli altri Paesi del Sud. Questa politica economica produce effetti asimmetrici, e rischia di rendere permanente la depressione economica in molti Paesi, fra cui il nostro. Con conseguenze difficili da immaginare, ma che possono portare, all’estremo, fino alla disintegrazione dell’euro o oltre ancora. Una simile politica, per quanto possibile, va contrastata. Con maggiore flessibilità, soprattutto relativa ai tempi, nel fissare gli obiettivi di finanza pubblica, lasciando qualche margine maggiore a politiche espansive. Con una maggiore capacità di guardare al lungo periodo, cercando spazi per sottrarre almeno alcune categorie di investimenti pubblici, quelli che servono alla competitività dell’economia europea, dai vincoli più stringenti. Con una intesa finale sul bilancio dell’Unione, che corregga almeno alcune storture (come le condizionalità macroeconomiche per i fondi strutturali) dell’ultimo accordo intergovernativo. Senza un governo italiano con pieni poteri, capace come partner fondamentale dell’Unione di catalizzare consensi, tutto questo diventa impossibile.
Il secondo motivo è che gli spazi anche piccoli di politica economica vanno usati selettivamente. Non si possono comunque mettere in atto grandi politiche di rilancio; bisogna indirizzare le limitate risorse verso alcune priorità. Solo un governo con pieni poteri può compiere queste scelte prettamente politiche, che stabiliscono precedenze fra interessi diversi e possono scontentare alcuni. E le scelte nell’immediato vanno raccordate il più possibile con un percorso lungo, che pure occorre cominciare a impostare e a perseguire: il piano nazionale di riforma, il programma nazionale per la programmazione comunitaria 2014-20, necessità di queste settimane, devono anch’essi contenere scelte e priorità politiche. Scelte tipiche di un esecutivo; impossibili da compiere in maniera assembleare.
Vi è infine un ultimo aspetto. A differenza anche del Belgio – caso che si cita spesso perché vissuto a lungo con un governo senza pieni poteri – l’Italia non ha amministrazioni forti. L’esercizio minuto ma importante dell’azione di governo (atti amministrativi, attuativi, regolamenti) non può essere delegato a strutture burocratico-amministrative che purtroppo nel nostro Paese sono storicamente molto deboli. Non siamo la Francia; e nemmeno il Belgio. L’intendenza, senza un indirizzo chiaro da parte di chi guida il Paese, può provocare sfracelli, come le stesse cronache minori di queste settimane ci stanno raccontando. In altri termini: non siamo in grado di delegare ai direttori generali scelte e atti che devono avere un forte potere di indirizzo da parte dei ministri.
E vi è naturalmente un evidente effetto psicologico. L’Italia è in depressione, non solo economica ma psicologica. I suoi effetti si vedono, a cominciare da consumi ridotti dalle preoccupazioni e da investimenti al lumicino. Un segno da Roma è indispensabile anche per questo.
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