Sarko o l’Apocalisse. Approdato all’Eliseo in qualità di alfiere del volontarismo politico, scandendo lo slogan “insieme tutto diventa possibile”, Nicolas Sarkozy si ritrova paradossalmente a correre per la propria rielezione incarnando l’inadeguatezza del potere di fronte a una crisi senza fine. Nel 2007 l’idea di “rottura” interpretata dal candidato Ump aveva veicolato una sorta di catarsi collettiva per un Paese “bloccato”, desideroso di riscattarsi dal mesto crepuscolo dell’era Chirac. A cinque anni di distanza la Francia si trova a fare i conti con il suo eterno passato, fatto di promesse non mantenute e di cocenti disillusioni. E non sembra disposta a perdonare chi l’ha tradita. Un quinquennato di crisi e di riforme mal digerite, oltre a uno stile poco in linea con la solennità che ci si attende da un monarca repubblicano, hanno alienato a Sarkozy le simpatie di molti. Per il capo dello Stato la storia con i francesi è stata decisamente tormentata. Precipitato rapidamente dall’olimpo del consenso (67% di giudizi positivi nell’autunno 2007) verso gli inferi dell’impopolarità (32% nella primavera 2008, in pieno periodo “bling bling”), ha recuperato terreno durante il semestre di presidenza europeo (50% nell’autunno 2008), prima di precipitare nuovamente (attorno al 30% a partire a partire dall’autunno 2009), battendo ogni record di impopolarità presidenziale, con addirittura il 72% dei francesi che al termine del mandato si dichiara “scontento” della sua permanenza all’Eliseo.
Per la prima volta da quando è stata introdotta l’elezione diretta a suffragio universale del capo dello Stato (1962) il presidente uscente non è partito con il favore dei pronostici nella corsa alla propria successione. Né peraltro Sarkozy è riuscito in questi mesi a invertire le indicazioni dei sondaggi che, dall’inizio della campagna elettorale, annunciano Hollande vincitore al ballottaggio con una decina di punti di vantaggio sul candidato Ump. Costretto a rincorrere e, contemporaneamente, a trovare un sottile equilibrio tra la necessità di tenere l’elettorato frontista a portata di mano in vista del secondo turno senza inimicarsi quello centrista, Sarkozy ha condotto una campagna schizofrenica, nel corso della quale ha cambiato tattica più volte. All’indomani dell’annuncio della propria candidatura (il 15 febbraio su TF1, durante il tg delle 20) ha giocato la carta dell’esperienza e dell’autorità, nel tentativo di convincere l’elettorato moderato che il suo volontarismo e la sua credibilità internazionale siano decisamente più indicati in una congiuntura delicata come quella attuale rispetto alle inevitabili incognite dell’alternanza. La ricerca dei voti frontisti lo ha successivamente portato – complice l’influenza del consigliere Patrick Buisson, venuto dall’estrema destra – a vestire i panni poco credibili dell’outsider, candidato del “popolo francese” contro le élite, la finanza e i poteri forti, arrivando persino a minacciare l’uscita della Francia dagli accordi di Schengen. Nelle ultime settimane ha deciso di tornare al punto di partenza, indossando nuovamente i panni del presidente autorevole, alleato incrollabile di Angela Merkel, unico tra i candidati in grado di rassicurare i mercati e fronteggiare la minaccia della speculazione.
Nel 1995 il tema centrale della campagna per le presidenziali era stato la frattura sociale, nel 2002 la sicurezza, nel 2007 il lavoro e il potere d’acquisto, nel 2012 è la crisi economica. La crisi fa da sfondo obbligato alla competizione, è evocata costantemente, è brandita dai principali candidati come una colpa (Hollande) o una minaccia (Sarkozy), senza tuttavia che si apra un confronto sulle strategie per superarla (il che significherebbe spiegare ai francesi che sono attesi da un quinquennato di riforme austere e sacrifici). Sarkozy predice “il caos” e “la rovina” se Hollande sarà eletto. “Volete la sinistra, avrete la Grecia”, è stata la formula a effetto utilizzata durante il comizio di domenica 15 aprile in place de la Concorde, nel tentativo di fare breccia tra l’elettorato centrista, il più sensibile al tema dell’equilibrio dei conti pubblici.
Più ci si avvicina al voto e più il clima elettorale evoca quello delle presidenziali del 1981. Allora Valéry Giscard d’Estaing denunciava come la “forza tranquilla” di François Mitterrand fosse in realtà ostaggio del massimalismo del segretario comunista Georges Marchais, pronosticando una sovietizzazione del paese nel caso di vittoria del leader socialista. Oggi Sarkozy mette in guardia dal condizionamento progressivo che l’estremismo gauchiste di Jean-Luc Mélenchon esercita su Hollande, vincolandone in misura importante il margine di azione in caso di vittoria. Resuscitando lo spettro della bancarotta e il “pericolo rosso”, Sarkozy rispolvera un richiamo ancestrale della destra francese, una sorta di riflesso da “ultima spiaggia” che il più delle volte ha fatto capolino proprio alla vigilia di sconfitte annunciate.
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