Quando Nicolas Offenstadt ci ha proposto di scrivere un breve libro di analisi e di rettifica degli errori di Éric Zemmour, abbiamo detto tutti di sì. Senza esitazione. Era la fine del semestre ed eravamo stanchi, il Natale incombeva con i suoi obblighi di famiglia e gli articoli accumulavano ritardo. Peggio per noi, dovevamo farlo, adesso e tutti insieme. Laurent Joly aveva appena pubblicato un libro che denunciava le bugie di Zemmour su Vichy e gli ebrei. Da parte mia, avevo iniziato una serie di programmi sul sito di Arrêt sur Images per sfatare le osservazioni del polemista, ora candidato presidente. Nicolas Offenstadt aveva partecipato ad alcune trasmissioni sul caso «Zemmour e la storia». Altri non avevano ancora fatto nulla, ma sentivano il bisogno di fare qualcosa.

Non è sorprendente che gli storici intervengano pubblicamente. Fa parte del nostro ruolo contribuire con le nostre capacità e conoscenze. Ci sono dei precedenti, come quando Nicolas Sarkozy, candidato presidente e poi presidente eletto, tentò di relativizzare le violenze della colonizzazione chiedendo l’insegnamento del suo «ruolo positivo» con la legge del 2005. È in reazione a questo che, nel 2006, venne creato il Comité de vigilance face aux usages publics de l’histoire (Cvuh), riunendo molte storiche e storici (compresi i collaboratori del manifesto su Zemmour). Attraverso pubblicazioni, interventi sui media, organizzazione di giornate di studio e lavoro di monitoraggio, il Comité de vigilance si sforza di analizzare, e talvolta decostruire, le questioni della memoria e i dibattiti sul passato.

Altri politici strumentalizzano il passato senza preoccuparsi di avvicinarsi alla verità storica, ma nessuno di loro vanta bugie così rozze come quelle propagandate da Zemmour

Perché Zemmour? In primo luogo perché oggi è l’unico personaggio politico per il quale la storia gioca un ruolo così centrale: ha scritto diversi libri che si presentano come libri di storia (anche se tali non sono) e ne parla continuamente, in maniera quasi ossessiva. In secondo luogo perché, nonostante altri politici strumentalizzino il passato senza preoccuparsi di avvicinarsi neanche lontanamente alla verità storica, nessuno di loro vanta bugie così rozze e di tale portata. Infine, perché la riscrittura del passato operata da Zemmour – basata su una cultura storica limitata, datata e ridotta agli autori più conservatori – è prima di tutto al servizio dei suoi attuali odi razzisti, xenofobi, sessisti e omofobi. Egli riduce tutta la storia del Paese, dai romani ai giorni nostri, a un confronto tra la Francia eterna e immobile, i suoi eroi (sempre maschi) e i responsabili del suo «declino», del suo «suicidio»: in ordine sparso, gli ugonotti, i rivoluzionari, gli islamici (tutti), le femministe e gli omosessuali. «Fa mentire il passato per far odiare meglio il presente e inventare così un futuro orribile», come abbiamo scritto nell’introduzione al libro.

Non potevamo restare nelle nostre torri d’avorio. Tanto più che siamo ben consapevoli dell’inclinazione a destra del dibattito pubblico. Una tendenza che fa parte di orientamenti globali guidati da sviluppi visibili negli ecosistemi mediatici: l’importanza dei social e la promozione ideologica di queste idee da parte di grandi network, quella di Rupert Murdoch nel mondo anglofono e della famiglia Dassault e ancor più di Vincent Bolloré in Francia. Da queste parti tutto ciò incontra altre dinamiche, come il rifiuto dell’islam e dell’immigrazione, particolarmente accentuato dopo gli attentati del 2015.

Certo, Zemmour è solo uno degli attori, ma la differenza è che è un candidato alla presidenza. È un attore che rivela e risveglia impulsi di odio nella società che incoraggiano il passaggio ad atti concreti. Dovevamo analizzarlo in quanto ricercatori e scalfire la sua patina culturale, la sua pretesa di essere un grande studioso. Per noi era importante reagire e lavorare collettivamente. A maggior ragione per il fatto che Zemmour ci attacca collettivamente, spazzando via e qualificando (ma in realtà squalificando) come doxa (opinione comune) opere riconosciute da tutta la comunità scientifica, accusando i programmi scolastici e l’insegnamento universitario di «propaganda anti-francese».

La conoscenza è l’opposto della doxa: viene discussa, costruita, verificata sulle fonti, raccolta. In questo modo Zemmour fa giocare allo storico Robert Paxton (che per primo ha stabilito la responsabilità di Vichy nello sterminio degli ebrei francesi) l’assurdo ruolo dell’unico nemico da attaccare, mentre la totalità degli storici del periodo, francesi o stranieri che siano – Eberhard Jäckel, Jean-Pierre Azéma, Jean-Baptiste Duroselle, Bénédicte Vergez-Chaignon, Alya Aglan, Denis Peschanski, Julian Jackson, Philippe Burrin e tanti altri – hanno confermato le importanti conquiste della sua opera, nonostante questo significhi estenderle o qualificarle su un punto o sull’altro. È questa dimensione di conoscenza storica discussa collettivamente che il nostro piccolo libro oppone a Zemmour.

Zemmour contro la storia è il frutto del lavoro di alcuni dei più riconosciuti specialisti di ciascun periodo, i cui testi si soffermano sul loro rispettivo ambito di ricerca e sono stati riletti e approvati collettivamente. Abbiamo voluto abbinare al libro un video prodotto da Manon Bril, il cui canale YouTube divulgativo C’est une autre histoire è molto seguito; questo per non rinchiuderci in un approccio erudito, che si rivolgesse solo a specialisti. All’interno del nostro collettivo condividiamo l’idea che la storia non appartiene solo agli storici, che tutti hanno il diritto di parlarne. Ma ciò non significa che possiamo dire qualsiasi cosa, ingannare le persone, falsificare aspetti del passato. Non difendiamo una sorta di monopolio sul passato, ma un metodo e un savoir-faire, un ideale di verità e un sapere solidamente costruito che ci permetta di individuare eventuali manipolazioni e di trasmettere o determinare quanto stabilito, con pazienza, da un’intera comunità di studiosi.

Lo storico deve individuare eventuali manipolazioni e trasmettere o determinare quanto stabilito, con pazienza, da un’intera comunità di studiosi

Ci siamo già soffermati su ciò che ci sembrava rivelatore di un modo di manipolare il passato e la realtà: invertire quasi sistematicamente vittime e carnefici, per esempio, o far dire a un personaggio del passato tramite citazioni selezionate esattamente il contrario di ciò che intendeva, come nel caso di Simone de Beauvoir, che disprezzerebbe le donne e per la quale il genio sarebbe maschile. Ci siamo aggrappati soprattutto a ciò che ci appare più grave, perché relativo alla minimizzazione di crimini e violenze come con Saint-Barthélemy o la deportazione degli ebrei. Abbiamo inteso sottolineare la fascinazione di Zemmour per la brutalità come strumento politico. Una brutalità che egli stempera facendosene carico: non ha forse detto in un programma (CNews, ottobre 2019) di essere «dalla parte di Bugeaud», l’ufficiale responsabile delle enfumades della conquista dell’Algeria (1844-1845) e della strage di rue Transnonain (1834)? Il successo riscontrato dal nostro lavoro (per alcune settimane primo tra i saggi venduti) tende a mostrare che quello adottato è probabilmente l’approccio necessario.

 

[Traduzione dal francese di Antonio Ballarò]