Il discorso di insediamento di Donald Trump. «From this moment on, it's going to be America First»: d’ora in avanti, l’America prima di ogni cosa. È questo il messaggio più forte del discorso di inaugurazione del quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti.
Donald Trump ha prestato il suo primo giuramento per una carica pubblica. Lo ha fatto sulla Bibbia appartenuta ad Abraham Lincoln. Ma poiché evidentemente una sola non gli bastava, ha scelto di aggiungerne una seconda, la Bibbia regalatagli dalla madre quand’era ragazzino.
Trump ha giurato davanti al presidente della Corte Suprema John G. Roberts, da lui stesso più volte criticato con parole molto aspre. Alle sue spalle, come da tradizione, c’era la famiglia, il presidente Obama che lascia la Casa Bianca dopo otto anni, con la moglie Michelle, e gli altri ex presidenti in vita – con la sola assenza per motivi di salute di George H.W. Bush – la sfidante Hillary Clinton, sconfitta a novembre, nei panni di ex First Lady al fianco del marito Bill, i rappresentanti delle più alte cariche dello Stato e dei due partiti maggiori.
Dopo aver reso omaggio e ringraziato per il passaggio di potere gli inquilini uscenti della White House, che ha definito «magnifici», il nuovo presidente ha ripercorso in un intervento di venti minuti tutti i leitmotiv della sua campagna. Di fatto, ha pronunciato un discorso che da più parti è stato letto come l’ennesimo intervento da campagna elettorale.
Sin dalle prime battute ha parlato di un passaggio di consegne che non andrà nelle mani di una nuova amministrazione, ma tornerà a tutti gli effetti nelle mani del «popolo», per ricostruire la nazione e concretizzare tutte le promesse fatte ai cittadini negli ultimi anni: «we are transferring power from Washington, D.C. and giving it back to you, the American People».
Non sono poi mancati i suoi classici temi anti-establishment nel parallelismo tra una Washington sempre più prospera che non è stata in grado di condividere la ricchezza, le sue conquiste e le sue vittorie, con il resto del Paese, segnato da posti di lavoro persi, fabbriche chiuse e dalle morti causate da criminalità, gang e droghe.
Né è mancato uno degli elementi di critica più efficaci nella corsa alla Casa Bianca del neo presidente, la denuncia degli effetti negativi dell’attivismo americano sugli scenari internazionali, sia in ambito economico sia in ambito militare. «Per molti decenni abbiamo arricchito l'industria dei Paesi esteri a discapito dell'industria americana, offrendo sussidi agli eserciti di altre nazioni e causando con ciò l’esaurimento delle nostre risorse militari; abbiamo reso altre nazioni ricche, dissipando la ricchezza, la forza e la ci fiducia della nostra nazione», ha denunciato il nuovo presidente con toni molto accesi.
Anche sul tema della protezione del territorio americano, è stata rievocata la questione della difesa dei confini interni e della necessità di ricostruire le infrastrutture del Paese.
Quanto al terrorismo, Trump ha cercato di spegnere i timori di un nuovo isolazionismo americano, rilanciando alleanze, vecchie e nuove, con il «mondo civilizzato» per sradicare il terrorismo islamico, «we will eradicate completely from the face of the Earth». Anche a proposito del pregiudizio e delle critiche alle sue posizioni razziste, ha ricordato come non conti essere «black», «brown» o «white», poiché «we all bleed the same red blood of patriots».
Le tinte fosche della parte centrale del suo discorso si sono attenuate nei passaggi conclusivi per lasciare spazio ai temi più ottimismi tipici dell’eccezionalismo americano: «quando l’America è unita, l’America è inarrestabile». Donald Trump rivolge idealmente il suo messaggio «Make America great again» con cui chiude l’intervento, al bambino nato nelle distese urbane di Detroit e al bambino nato nelle pianure del Nebraska per dimostrare ancora una volta la sua vicinanza all’America più profonda e trascurata dalle ultime amministrazioni, ribadendo che nessun americano sarà più ignorato dal governo.
Le immagini prese dall’alto e diffuse dai media testimoniano un’affluenza di pubblico al National Mall molto più bassa rispetto alle ultime due cerimonie di insediamento di Barack Obama, che ha chiuso il suo mandato con un tasso di popolarità in ascesa, intorno al 54%. Donald Trump, dal canto suo, si prepara ad affrontare il suo mandato presidenziale con un tasso di popolarità che si aggira attorno al 40%, il più basso dell’era moderna.
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