Un'elezione dai tratti singolari. “Abbiamo ottenuto un risultato storico a dispetto di una condizione di svantaggio a livello di fundraising per la presenza di ricchissimi donatori democratici”, ha sottolineato Donald Trump a proposito della campagna di midterm più costosa della storia.
Secondo il Center for Responsive Politics sono stati spesi 5,2 miliardi di dollari (i democratici ne hanno spesi circa 400 milioni in più rispetto ai repubblicani) contro i 4,4 miliardi spesi dai due partiti nelle ultime presidenziali e con un incremento del 35% rispetto all’ultimo midterm. La tendenza sembrava ormai consolidata già dal luglio 2017, quando nell’elezione suppletiva per il 6° distretto della Georgia era stato battuto ogni record di spesa per una singola campagna. Il texano Beto O’ Rourke, uno dei candidati democratici sconfitti più noti e attesi, solo nell’ultimo quadrimestre prima del voto ha raccolto 38 milioni di dollari da donatori individuali su un totale di 69 milioni, uno in più di Rick Scott. Come preannunciato da un numero superiore alla media di “early voters”, gli elettori che esprimono la propria preferenza prima dell’election day, questo del 2018, secondo le prime proiezioni, potrebbe risultare il midterm con la più alta affluenza al voto (circa 30 milioni in più rispetto a quattro anni fa), in una tornata elettorale con poche sorprese, ma che verrà sicuramente ricordata per altri elementi storici.
Dopo lo storico “Year of the Women” del 1992, al midterm del 2018 oltre alle 16 candidate governatrici (6 in più del record del 1994) per la prima volta hanno corso 272 donne (sul totale di 964 candidati), con un parallelo aumento del 75% di candidate “of color” rispetto al 2012. Tra queste, 103 saranno parte del 116° Congresso insieme alle 10 senatrici ancora in carica i cui seggi non erano rinnovati in questo ciclo, per un totale di 113 rappresentanti (prima del 5 novembre erano 107).
Tra di loro spicca la più giovane deputata mai eletta, la ventinovenne democratic socialist del Bronx Alexandria Ocasio-Cortez, che dopo aver battuto alle primarie il veterano del partito Joe Crowley (in carica dal 1999 e mai sfidato alle primarie) ha trionfato nel 14° distretto di New York con il 70% delle preferenze sul professore repubblicano Anthony Pappas.
Per la prima volta entreranno in carica da gennaio due native americane, la cinquantasettenne Deb Haaland, eletta in New Mexico, e la trentottenne Sharice Davids, eletta in Kansas, e due deputate di religione musulmana, anch’esse democratiche, la trentaseienne di origini somale Ilhan Omar e la quarantaduenne di origini palestinesi Rashida Tlaib, che hanno prevalso nei rispettivi distretti di Minnesota e Michigan con un distacco molto netto sui rivali. Due Stati del Nord Est hanno eletto per la prima volta una donna afroamericana al Congresso, la quarantaquattrenne Ayanna Pressley, in Massachusetts, e la quarantacinquenne Hayes, in Connecticut, entrambe democratiche.
Alle elezioni di midterm “most diverse" della storia hanno partecipato 26 candidati Lgbt; il Colorado ha eletto il primo governatore apertamente gay della storia degli Stati Uniti, il quarantatreenne imprenditore e filantropo democratico Jared Polis, mentre è stata sconfitta la democratica Christine Hallquist, candidata trans a governatrice del Vermont.
Questi numeri e queste figure assumono un’ulteriore rilevanza simbolica nell’elezione di medio termine con il più basso numero di candidati uomini bianchi, il 58%, dalle presidenziali vinte da Barack Obama nel 2008. Tra i 216 candidati non-white, per usare la definizione ufficiale del Census Bureau, sono arrivati a un passo dalla storia i democratici come Stacey Abrams e Andrew Gillum, che avremmo potuto ricordare come i primi governatori neri di Georgia e Florida, Jay Gonzalez in corsa come primo governatore ispanico del Massachusetts e l’ex sceriffo della contea di Dallas Lupe Valdez come prima governatrice ispanica del Texas, dove sono state invece elette per la prima volta due deputate latine, anch’esse democratiche, Veronica Escobar nel seggio lasciato vacante da Beto O’ Rourke a El Paso e Sylvia Garcia a Houston.
Come rivela uno studio del Pew Research Center tra i 29 milioni di ispanici che oggi costituiscono il 13% del corpo elettorale, in 4 milioni sono diventati maggiorenni nel 2018. L’ingresso nel corpo elettorale di milioni di ispanici rischia di spostare equilibri consolidati in Stati dall’alto peso specifico in termini di grandi elettori e tradizionalmente repubblicani, come il Texas.
I latinos costituiscono uno dei bacini elettorali più fedeli ai democratici (con percentuali che oscillano dal 66% al 71% nelle ultime tre presidenziali) e le posizioni radicali del presidente Trump in tema di immigrazione e cittadinanza sembrano aver mobilitato quelle fasce di elettorato che un tempo si astenevano o non accedevano alla procedura di registrazione per il voto.
Proprio in Texas il senatore uscente Ted Cruz ha superato di misura Beto O’Rourke e il governatore Greg Abbott, anche lui incumbent, ha battuto Lupe Valdez con una percentuale di voti di quasi cinque punti inferiore rispetto al 2014.
In un corpo elettorale in continuo mutamento e sempre più polarizzato dopo l’elezione di Donald Trump, con le preferenze di donne, giovani e minoranze che penalizzano i repubblicani, l’importanza della struttura demografica nei distretti e nella ricomposizione dei collegi elettorali in vista del prossimo censimento diventerà decisiva nelle elezioni del 3 novembre 2020.
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