Trump spezza il disgelo con l’Iran (e l’Europa resta a guardare). «L’accordo con l’Iran è profondamente sbagliato. Se non agiamo, sappiamo per certo che in breve tempo, il principale sponsor mondiale del terrorismo sarà sul punto di procurarsi le armi più pericolose del mondo»: sono alcune delle parole pronunciate da Donald Trump nel pomeriggio dell’8 maggio, nel mettere la firma sul ripristino unilaterale delle sanzioni economiche degli Stati Uniti nei confronti dell’Iran.

A ottobre la Casa Bianca aveva accelerato il cambio di rotta, dopo la non-certificazione del Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa), siglato nel luglio del 2015 dall’amministrazione Obama insieme al gruppo dei 5+1 (Francia, Regno Unito, Cina, Russia, Germania e Unione europea).

L’accordo che prevedeva, da una parte, la limitazione del programma nucleare iraniano con l’autorizzazione a periodici controlli alle installazioni nucleari, e dall’altra il progressivo allentamento delle sanzioni, è stato fin dalla sua campagna elettorale considerato da Donald Trump “folle”, “ridicolo”, uno dei peggiori della storia per le eccessive concessioni “a senso unico” in materia di tempistiche e modalità di riconversione degli impianti sospetti.

Già il 12 gennaio il presidente Trump aveva fatto presagire una decisione simile minacciando di sospendere l’accordo se nel giro di 90 giorni gli altri contraenti del Jcpoa non avessero rinegoziato il patto con condizioni più sfavorevoli a Teheran.

Per giustificare questa svolta nelle relazioni con il governo Rouhani, ufficializzata peraltro con quattro giorni di anticipo rispetto all’ultima deadline, il presidente ha offerto ancora una volta una ricostruzione storica, molto dura e stilizzata: «L’Iran esporta missili pericolosi, alimenta conflitti in Medioriente, supporta esponenti e milizie terroristiche come Hezbollah, Hamas, i talebani e Al Qaeda, con i quali negli anni ha bombardato ambasciate americane e installazioni militari, ha assassinato centinaia di rappresentanti del governo americano e sequestrato, imprigionato e torturato cittadini americani».

Nel discorso ha poi fatto riferimento alla “prova definitiva” sull’Iran e a una “storia di strategie nucleari”. Come annunciato dal premier Netanyahu lo scorso 30 aprile, l’intelligence israeliana ha sostenuto di essere entrata in possesso di una serie di documenti che testimoniano l’esistenza di un vecchio programma nucleare clandestino di Teheran, denominato Project Amad. Tuttavia questi documenti fanno riferimento a un arco temporale che precede il 2003, quando era noto anche alla Iaea lo sviluppo di programmi nucleari da parte della Repubblica Islamica.

A irrigidire le posizioni della Casa Bianca hanno certamente contribuito gli avvicendamenti nell’esecutivo degli ultimi mesi. Due dei membri dell’amministrazione che dopo l’annuncio di ottobre si erano dimostrati cauti e reticenti rispetto a un possibile  superamento dell’accordo, Rex Tillerson e Herbert Raymond McMaster, sono stati rimpiazzati dai “falchi” Mike Pompeo e John Bolton, rispettivamente nelle cariche di segretario di Stato e National Security Adviser.

Pompeo, nel corso della sua prima visita ufficiale in Arabia Saudita a fine aprile, aveva ribadito davanti agli storici alleati americani in Medioriente, che l’Iran, dopo la firma dell’accordo, ha peggiorato il suo comportamento in politica estera sia in funzione anti-israeliana, avvicinandosi ulteriormente al regime di Bashar al Assad, sia in funzione anti-saudita, destabilizzando lo Yemen attraverso il sostegno alle operazioni terroristiche dei ribelli sciiti Houthi.

Dal canto suo Bolton, qualche ora dopo l’annuncio, ha spiegato alla stampa che gli Stati Uniti non possono più fare affidamento su “promesse sulle carta” e che il ritorno delle sanzioni non potrà che determinare un “effetto-domino” sull’economia dell’Iran costringendo il regime ad abbandonare il programma sui missili balistici.

«Cercheremo di lavorare con le potenze europee, con il comune obiettivo di prevenire l’Iran dall’acquisizione di armi nucleari - ha precisato l’Nsa nominato a fine marzo dalla Casa Bianca – ma siamo in disaccordo sull’efficacia dell’accordo che sarebbe poi il motivo per cui gli Stati Uniti sono usciti dal patto.» 

I leader europei Macron, Merkel e May, già messi al corrente qualche giorno prima da Bolton sulla volontà dell’amministrazione di andare fino in fondo, in un comunicato congiunto hanno infatti espresso rammarico e preoccupazione evidenziando l’importanza di un accordo fondamentale che l’Europa continuerà comunque a rispettare.

Nel memorandum firmato da Trump non è però lasciato alcuno spiraglio sulla possibilità di nuovi accordi tra i contraenti che, comunque, al momento sembrano tutti essere favorevoli alla difesa di un accordo anche senza gli Stati Uniti.

A tal proposito è bene ricordare che, sebbene l’amministrazione Trump non possa tecnicamente impedire all’Europa e agli alleati di preservare i rapporti finanziari con Teheran, quasi tutte le transazioni sui mercati globali passano attraverso scambi di dollari e operazioni di istituti americani e con il ripristino delle sanzioni questo tipo di “passaggio” sarebbe vietato.

 

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