L'attenzione generale della classe politica, in questo 2024, sarà rivolta soprattutto alle elezioni europee del 9 giugno e alle cinque elezioni regionali (Abruzzo, Basilicata, Piemonte, Sardegna e Umbria). La competizione europea sarà un banco di prova per i rapporti di forza delineati con le politiche del 2022; inoltre, si voterà con la proporzionale (e soglia del 4% per accedere alla ripartizione dei seggi), quindi ogni partito dovrà guadagnare consensi, anche se a scapito degli alleati. Quella europea è l'unica competizione che non prevede coalizioni, mentre a livello regionale e locale il ricorso ad apparentamenti non è solo previsto, ma anche molto praticato. A proposito di regioni, nelle cinque al voto nel 2024 gli uscenti sono tutti di destra o centrodestra: in teoria, se le opposizioni ne strappassero anche una sola sarebbe già un successo, ma non è affatto detto che ciò accada.
L'argomento del nostro esame è però un altro. In primavera andranno alle urne gli elettori di circa 3.700 comuni italiani (di cui 27 capoluoghi di provincia). I capoluoghi sono: Ascoli, Avellino, Bari, Bergamo, Biella, Cagliari, Caltanissetta, Campobasso, Cremona, Ferrara, Firenze, Forlì, Lecce, Livorno, Modena, Pavia, Perugia, Pesaro, Pescara, Potenza, Prato, Reggio Emilia, Rovigo, Sassari, Verbania, Vercelli e Vibo Valentia. Sei di questi sono anche "capitali regionali", cioè capoluoghi di regione (Bari, Cagliari, Campobasso, Firenze, Perugia e Potenza). Nella nostra analisi abbiamo diviso i quattordici comuni capoluogo con più di centomila abitanti (Bari, Bergamo, Cagliari, Ferrara, Firenze, Forlì, Livorno, Modena, Perugia, Pescara, Prato, Reggio Emilia e Sassari) più Campobasso dagli altri tredici. Come vedremo, la distinzione è stata opportuna e – per certi versi – obbligata, perché se è vero (come abbiamo mostrato in Capitali regionali, Il Mulino, 2018) che il voto politico, europeo e locale è sostanzialmente diverso dal dato nazionale se si prendono in esame i soli centri maggiori, è anche vero che il vantaggio strutturale per il centrosinistra è più marcato nei capoluoghi di regione e nei comuni sopra i 100.000 abitanti che negli altri capoluoghi (dove, comunque, i dati del blocco di destra restano uguali o inferiori alla media del Paese).
Concretamente, alle politiche del 2022 il centrodestra ebbe il 43,79% dei voti alla Camera, contro il 49,58% delle europee, il 36,6% (2022) e 42,6% (2019) dei 27 capoluoghi dove si voterà quest'anno, il 41,6% (2022) e 48,9% (2019) dei capoluoghi non di regione e sotto i centomila abitanti e il 35% (2022) e il 40,5% (2019) dei capoluoghi regionali (inclusi i capoluoghi non di regione sopra i centomila abitanti). Lo stesso vale per il centrosinistra: politiche 2022 26,12%, europee (Pd, Più Europa, Verdi, Sinistra) 29,81%, 27 capoluoghi 28,4% (2022) e 33,6% (2019), capoluoghi "minori" 24,8% (2022) e 26,9% (2019), "capitali regionali" e città con più di 100.000 abitanti, 29,6% (2022) e 35,6% (2019). In quanto al M5S, è di solito sovrarappresentato un po' a livello nazionale (2022: 15,43%; 2019: 17,07%) mentre ha risultati inferiori sia nei 27 capoluoghi (14,6%: 2022; 16,1%: 2019), sia – un po' meno, per la verità – nei capoluoghi di provincia "intermedi" (14,8%: 2022; 17,4%: 2019), sia, infine, nelle "capitali regionali" e nei grandi comuni (14,5%: 2022; 15,7%: 2019). Inoltre, per quanto riguarda Azione e Italia viva, che si presentarono nel 2022 insieme, il dato nazionale fu del 7,78%, contro il 9,3% dei capoluoghi "minori" e il 9,5% di quelli "maggiori". Questo quadro ci servirà per comprendere meglio le differenze dei rapporti di forza fra classi di comuni al voto nel 2024.
Le città capoluogo di Regione e quelle sopra i centomila abitanti sono quelle più contendibili, mentre gli altri capoluoghi chiamati al voto lo sono molto meno
Riassumendo, alle politiche il divario fra centrodestra e centrosinistra è stato pari al 18,67% a livello nazionale, all'8,2% nei 27 capoluoghi, al 16,8% nei capoluoghi "minori", al 5,4% nelle città maggiori; per quanto riguarda il 2019 abbiamo: 19,77% a favore del centrodestra a livello nazionale, 9% nei 27 capoluoghi, 18% nei capoluoghi "minori", 4,6% in quelli maggiori. In sintesi, le città capoluogo di Regione e quelle sopra i centomila abitanti sono – almeno teoricamente – quelle più contendibili, mentre gli altri capoluoghi chiamati al voto lo sono molto meno. Per questa ragione abbiamo distinto i risultati delle ultime comunali in due gruppi, a seconda della popolazione o del "rango" (di capoluogo di Regione o meno) delle città. Questa distinzione è stata possibile solo partendo dai dati elettorali storici, perché diversamente – basandosi solo sul numero dei sindaci ottenuti da ciascuno schieramento – sarebbe stato impossibile distinguere i due gruppi di comuni. Infatti, nei quattordici centri maggiori, il centrosinistra ha vinto in sette occasioni, il centrodestra in sei (compreso un indipendente) e il M5S in uno; nei tredici "minori" il centrosinistra ha conquistato sei sindaci (un indipendente), il centrodestra altrettanti e uno il M5S. In totale, i 27 comuni hanno le seguenti amministrazioni uscenti: 13 centrosinistra (1 ind.), 12 centrodestra (1 ind.), 2 M5S.
Come si è visto, il divario tra i poli maggiori è molto differente se si analizzano i capoluoghi di Regione e i centri sopra i centomila abitanti oppure gli altri capoluoghi di provincia (più vicini, questi ultimi, al dato nazionale). Ciò è tanto vero se si nota che nei primi il centrosinistra delle comunali 2019 ha avuto la meglio col 41,8% dei voti sul centrodestra (37,1%), mentre nei secondi ha vinto il centrodestra 43,4 a 32,9. In entrambi i casi, il risultato del M5S è stato molto inferiore a quelli fatti registrare alle elezioni di carattere nazionale: nei capoluoghi che chiamiamo per praticità "maggiori", i pentastellati hanno avuto il 15,7% alle europee (media nazionale 17,07), il 9,3% alle comunali e il 14,5% alle politiche (media nazionale 15,43); nei capoluoghi "minori", invece, i Cinquestelle hanno avuto appena il 7,6% contro il 17,4% delle europee e il 14,8% delle politiche. Anche qui, notiamo una particolarità: mentre nei centri maggiori – alle politiche e alle europee – l'espansione del centrosinistra comprime sempre il M5S e il centrodestra, negli altri capoluoghi i pentastellati restano sulle posizioni nazionali e la destra se ne allontana poco o per niente, mentre il centrosinistra soffre. Questo ci fa pensare che alle prossime amministrative avremo verosimilmente di fronte, come nel 2019, scenari complessivi "di blocco" (di comuni) nei quali si avrà da una parte un vantaggio teorico per il centrosinistra e dall'altro uno (in linea con quello nazionale) per il centrodestra e la destra. Persino la riduzione del voto pentastellato non sembra alterare in modo significativo gli equilibri delle comunali. C'è, evidentemente, un'osmosi fra il deflusso di elettori dei Cinquestelle verso l'astensione, compensato quasi interamente dalla rimobilitazione di elettori dei due poli che agli appuntamenti nazionali defezionano, ma che in occasione di quelli locali si attivano, forse attratti dalla numerosa offerta di liste locali di area e dalla presenza di moltissimi candidati.
Alle amministrative i grandi o medi partiti sono penalizzati da civiche e liste dei sindaci
Infine, un capitolo va dedicato ai voti di lista dei partiti che presentano i propri simboli in tutte le elezioni (europee, comunali, politiche). È evidente che alle amministrative i grandi o medi partiti sono penalizzati da civiche e liste dei sindaci, però il raffronto è ugualmente interessante. I rapporti di forza tendono ad assomigliare a quelli nazionali, ma con qualche differenza importante. Forza Italia ha avuto l'8,79% alle europee e l'8,11% alle politiche, ma nei capoluoghi maggiori si è fermata al 7,1% nel 2019 e al 5,8% nel 2022, ottenendo invece rispettivamente il 10,1% (europee) e l'8% (politiche) nei capoluoghi "minori": uno scarto che nei grandi centri è forte, ma negli altri è costantemente positivo e oscilla fra lo 0,1% e l'1,3%.
La Lega ha avuto il 34,33% alle europee e l'8,79% alle politiche: nei centri maggiori, rispettivamente il 26,7% e il 5,6% (sotto Forza Italia, addirittura, alle politiche) mentre in quelli minori ha ottenuto rispettivamente il 30,3% e il 7,7% (anche qui, sotto gli "azzurri"); in ogni caso, il Carroccio è sempre sotto la media nazionale, in questi comuni, anche alle europee e alle politiche. Fratelli d'Italia ha avuto il 6,46% nazionale alle europee e il 25,98% alle politiche; nei comuni maggiori ha riscosso rispettivamente, di lista, il 5,8% e il 22,8%, mentre in quelli minori ha avuto il 7,6% e il 24,4% (non troppo lontano dalla media italiana, dunque). Detto rapidamente di Più Europa (che ottiene sempre risultati migliori nel complesso dei 27 comuni e nei due gruppi, rispetto ai dati nazionali di politiche ed europee), ribadiamo che l'ex Terzo polo ha conquistato nel 2022 circa l'1,5% dei voti nazionali, sia nei capoluoghi "minori" sia nei "maggiori".
Infine, il Pd (del M5S si è già detto): alle europee ha avuto il 22,69%, alle politiche il 19,04%, mentre nei capoluoghi "minori" ha raccolto rispettivamente il 23,4% e il 20,9% e in quelli "maggiori" ha conseguito il 31,9% (europee) e il 25,8% (politiche). In pratica, i Democratici guadagnano comunque voti di lista, in ragione dello 0,7-1,8% nei centri minori e del 6,7-9,2% in quelli maggiori. Eppure, nel 2019, la battaglia per i comuni ha visto i due poli pareggiare sostanzialmente il conto. La dinamica coalizionale e i fattori locali possono influenzare molto le competizioni amministrative.
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