C’è qualcosa nel ministero petrino di Francesco che, per la sua stessa natura, è difficile da delineare a parole. Qualcosa che segna una sorta di rottura o scarto: le cose non stanno più come prima, e di questo riusciamo ad accorgercene in molti. Non si tratta tanto di contenuti, ma di stile d’esercizio del proprio ministero e dell’aderenza di Francesco a questo stile. Dopo quasi cinque anni, anche i critici più puntigliosi non possono non riconoscere che lui è proprio così. Un uomo reale in situazioni reali. Un uomo che è davvero nei luoghi in cui va, siano questi geografici o di vissuto umano del nostro tempo.

È questo che rende difficile, o meglio inadeguata, l’iscrizione dei suoi gesti e delle sue parole in un testo fisso che esce dal contesto della sua genesi. Quello che così non si riesce a registrare è la qualità dell’ascolto, la densità di un incontro, il desiderio di un’effettiva reciprocità. Francesco stesso ne è consapevole e, credo, talvolta vive tutto questo come una sospensione indebita di quell’aderenza di cui facevo cenno sopra. In molte occasioni ha lasciato da parte il testo ufficiale preparato per parlare a braccio. «Quello lo potete leggere dopo…», dice; adesso vorrei parlare a voi, anzi vorrei che parlassimo tra noi – è quanto accade non appena appoggia i fogli del discorso ufficiale.

Intenzione, quest’ultima, che permane spesso anche quando legge – come è accaduto a Bologna in occasione dell’incontro con il mondo universitario. Di questo momento ci rimangono il testo e la registrazione video di quanto accaduto in Piazza San Domenico (che vi consiglio di vedere, magari proprio adesso, prima di andare avanti a leggere questo articolo). Un testo breve ma intenso, quello destinato all’Università bolognese; che Francesco ha accompagnato in un cammino di memoria per tenere deste oggi davanti a essa le idealità delle origini. Perché davanti all’onnipotenza del nuovo a ogni costo, l’esercizio della memoria rappresenta un bene «prezioso da coltivare» di continuo.

All’università, soprattutto quella italiana, che ha fatto del laicismo un suo cavallo di battaglia, il papa si rivolge come ad amici; amici cari a lui, e alla Chiesa che rappresenta, perché nell’università Francesco coglie un potenziale inedito per la declinazione di un umanesimo contemporaneo, rivendicando per le generazioni più giovani un «diritto alla speranza». Che è poi il diritto a legami duraturi che non si consumano e non possono essere commercializzati. Di qui l’invito a uscire, resistendovi, da ogni logica mercantile del sapere. Il sapere non commerciabile, che non si genera come servitù dell’idolo del denaro, è «custodia della cultura».

«Perché il sapere che si mette a servizio del miglior offerente, che giunge ad alimentare divisioni e a giustificare sopraffazioni, non è cultura. Cultura – lo dice la parola – è ciò che coltiva, che fa crescere l’umano». In questo camminare tra i secoli, congiungendo origini e presente, Francesco ha sottolineato in maniera particolare la figura del diritto: «L’Università è sorta qui per lo studio del diritto, per la ricerca di ciò che difende le persone, regola la vita comune e tutela dalle logiche del più forte, dalla violenza e dall’arbitrio. È una sfida attuale: affermare i diritti delle persone e dei popoli, dei più deboli, di chi è scartato, e del creato, nostra casa comune».

In questo breve discorso alla comunità universitaria bolognese non si fa fatica a ritrovare tutti i temi maggiori che stanno a cuore a Francesco fin dall’inizio del suo ministero petrino. Temi che si radicano nella fede e nell’esperienza cristiana, sui quali però nessuno ha l’esclusiva – nemmeno la Chiesa. Francesco è in cerca di amici per stringere alleanze cordiali a custodia creativa dell’umanesimo europeo. Ha incontrato l’Università di Bologna con questo spirito e con questa intenzione. Sta ora all’accademia dei saperi decidere se entrare nel gioco di questa alleanza amica, da cui non deve temere nessuna colonizzazione e attraverso la quale potrebbe trovare una sponda per custodire la memoria delle origini – affinché essa non venga inghiottita da quelle logiche di consumo e sfruttamento che finiranno, prima o poi, col fare anche dell’università uno scarto, dopo averne dissanguato il patrimonio migliore a proprio uso e consumo.

 

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