Sulle pagine dei giornali (e nei post sui social), l’eroe del momento è Stefano Bonaccini. Gli uomini (e le donne) che fecero l’impresa sono gli elettori emiliano-romagnoli. Il Pd è il partito capace di sconfiggere Salvini a mani nude, con la sola forza del buon governo; mentre le sardine sono la spinta civica che tira la volata. Poi c’è la Calabria, una regione da sempre e da tutti data per persa. È data per persa dal centrosinistra che, nei mesi che precedono le elezioni, sa di essere spacciato se dovesse ripresentare il governatore uscente, quel Mario Oliverio ristretto per mesi nella sua San Giovanni in Fiore, nel cuore dell’altopiano silano, a causa di un obbligo di dimora emesso dal Tribunale di Catanzaro.
La consapevolezza di non avere chance deriva dal fatto che in Calabria, dal 2000 in poi, alle regionali lo schieramento uscente non è mai stato riconfermato, e l’opposizione ha vinto sempre a mani basse. Se in altre aree del nostro Paese, anche dove le cose vanno bene (sanità, occupazione, criminalità), la voglia di cambiamento incide sugli orientamenti di voto, qui, ogni cinque anni, regna la certezza di non poter concedere ulteriore credito a chi ha avuto fino a quel momento le redini della Regione. Stando così le cose, per il centrosinistra l’unica strada per provare, non già a vincere, ma a perdere bene, è smarcarsi dalla gestione politica precedente. Pretende dunque un passo indietro da un Oliverio che aveva già annunciato la propria ricandidatura (anche senza il Pd) e punta tutto su un outsider.
La strategia si concretizza nel sostegno a Pippo Callipo, che gode di un’ottima immagine pubblica come imprenditore ed esponente delle società civile, ma risulta meno convincente sul piano politico, specie per un elettorato di sinistra. Callipo si era infatti già candidato alle regionali del 2010 con L’Italia dei valori, i radicali e una lista civica, mentre a quelle del 2014 aveva apertamente appoggiato la candidata di centrodestra. Inoltre, il piglio giovanile e dinamico che la stagione politica attuale pretende dai politici che intendano presentarsi come outsider, siano essi al governo o all’opposizione, non calza benissimo alla figura di Callipo.
La partita per la Regione non si decide tuttavia lungo la faglia vecchio/nuovo. Com’è noto, a spuntarla è infatti la candidata di centrodestra Jole Santelli, 52 anni, di cui gli ultimi 19 passati in Parlamento tra i banchi di Forza Italia. Col 55% dei voti ha la meglio non solo su Callipo, che si ferma al 30%, ma anche sugli altri due candidati che come outsider sono certamente più credibili: il docente universitario Francesco Aiello per i 5S e l’indipendente Carlo Tansi, già a capo della Protezione civile regionale. Entrambi, seppur di poco, non superano la soglia di sbarramento – piuttosto alta, a dire il vero – dell’8%, restando dunque fuori dal Consiglio regionale.
Anche se in un senso un po’ diverso, la Calabria è poi data per persa anche dalla Lega. Col vento in poppa a livello nazionale e forte del 23% conquistato in regione alle ultime europee (con Forza Italia al 13%), avrebbe avuto buon gioco a pretendere qualcosa in più di un veto al primo nominativo proposto dagli alleati forzisti, il sindaco di Cosenza Mario Occhiuto. La Lega, però, in Calabria adotta una politica espansiva molto cauta. I primi tentativi di radicamento al Sud, quando il partito era al 4% a causa degli scandali sui rimborsi elettorali, si fondavano sull’incorporazione di spezzoni di ceto politico locale e regionale in uscita dagli altri partiti del centrodestra. Da quando Salvini è diventato una celebrità, in grado di attirare voti senza candidati sul territorio (vedi le Europee), la strategia cambia radicalmente: in Calabria la Lega issa il ponte levatoio, lasciando fuori dalla porta schiere di aspiranti leghisti calabresi (figura impensabile solo qualche anno fa). In Calabria, terra difficile e rischiosa, il primo obiettivo della Lega non è dunque vincere, cioè conquistare posti in Regione o nei Comuni, bensì sopravvivere, evitando “contaminazioni” locali che potrebbero appannare il brand Salvini.
Un brand che, come già Berlusconi, alle elezioni in cui i candidati sul territorio contano meno (le Politiche e le Europee) è in grado, da solo, di mobilitare l’elettorato. Perciò, quando al Sud il partito cresce e l’anticamera si affolla di gente, appaiono alcune indagini giornalistiche che trattano delle “relazioni pericolose” della Lega (si vedano per esempio quelle dell'"Espresso" e di Report). Salvini manda allora in Calabria un commissario bergamasco, il deputato Cristian Invernizzi, con l’incarico di filtrare i rapporti col territorio e approntare le liste per le regionali. Il criterio impiegato dal commissario per selezionare i candidati risponde alla regola dei tre terzi: un terzo leghisti calabresi della prima ora; un altro terzo esponenti della società civile; il restante terzo è costituito da politici locali provenienti da altri partiti o comunque persone gravitanti intorno al mondo della politica calabrese. Con questa strategia la Lega rinuncia, dunque, a risultati elettorali più lusinghieri, che avrebbe verosimilmente ottenuto facendo spazio nelle proprie liste a volenterosi quanto navigati politici locali. Evita però il temuto assalto alla diligenza da parte del ceto politico locale e si accontenta di racimolare un dignitoso 12%, che gli permette di portare in Consiglio regionale quattro propri eletti. Neanche a dirlo, tutti e quattro appartenenti all’ultima categoria di candidati, quella dei politici locali provenienti da altri percorsi politici che, evidentemente, hanno portato in dote le proprie reti relazionali e politiche.
Sorvolando sul M5S, che in dieci anni di competizioni elettorali regionali e comunali (sopra i 15.000 abitanti) in Calabria non è mai andato oltre il 18%, con una media di circa il 6%, e che quindi non poteva avere alcuna realistica speranza di avvicinarsi alle vette raggiunte alle Politiche e alle Europee (con buona pace di chi insiste nel comparare pere con mele), è opportuno dedicare queste battute finali agli elettori. Anch’essi danno la regione per persa. Lo attesta quel 44% di partecipanti al voto, pressoché identico a quello di cinque anni prima. Nel discutere lo scarto di partecipazione rispetto all’Emilia-Romagna, molti commentatori tirano in ballo la radicata cultura civica della (ex?) regione rossa e, fattore più contingente, la sveglia data all’elettorato dalle sardine (anche se non mi pare che il 68% possa considerarsi lo specchio di una mobilitazione politica epica, così come dubito che senza le sardine le cose sarebbero andate molto diversamente).
In Calabria, l’elevato e persistente astensionismo, paradossalmente calmierato dall’attivazione di collaudate catene clientelari, segnala che le narrazioni di un riscatto locale non funzionano più. Continuano a funzionare, parzialmente, quelle su temi di respiro nazionale (l’immigrazione, l’Europa) che sono all’opera alle Politiche e alle Europee, dalle quali escono premiati partiti, come il M5S e la Lega, senza personale radicato sul territorio, ma capaci di intestarsi posizioni politiche molto popolari. La sanità commissariata ormai da un decennio e in continuo disfacimento a fronte di una popolazione più anziana e più sola; i Comuni e le Aziende Sanitarie commissariate per mafia; il tessuto economico-imprenditoriale anch’esso stretto tra la minaccia mafiosa e la pervasiva azione antimafia, con sequestri e gestione dei beni non sempre convincenti. E poi l’emigrazione giovanile, la disoccupazione, il dissesto del territorio e tutte le altre piaghe solitamente enumerate quando si parla di Calabria e di Mezzogiorno inducono gli elettori a reagire come possono: non votando, votando per i partiti di protesta o per quelli che, a livello regionale, sono stati all’opposizione. Da qui deriva l’astensionismo, l’estrema volatilità elettorale tra un’elezione e un’altra, e la legge ferrea dell’alternanza. Da questa rabbia politica originano anche gli atti che potremmo definire di “sabotaggio istituzionale”, come rieleggere un sindaco che lo Stato aveva ritenuto condizionabile dalla mafia (come accade a Lamezia Terme nel 2019) o rinunciare a presentare liste alle elezioni comunali (come succede in alcuni piccoli paesi aspromontani), affidando permanentemente il Comune a un commissario prefettizio.
Per concludere, a margine di un’importante e recente indagine giudiziaria, il Procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, ha dichiarato, in maniera ritenuta da molti quantomeno irrituale, che il giorno del suo insediamento ha pensato di dover “smontare la Calabria come un Lego e poi rimontarla piano piano”. Per molti elettori calabresi la condanna è vivere nella certezza che nessuna forza politica abbia le istruzioni, né le capacità, per rimontare i pezzi, sempre più confusi, della regione in cui vivono. E che le istruzioni, come non le ha la politica, non le abbia nemmeno la magistratura.
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