Marzo 2018, Bologna centrale, Frecciarossa Milano-Roma. Sono appena salito a bordo, davanti a me zoppica una signora sovrappeso con la pelle nera, accompagnata da due pesanti valigie che ne rendono ancor più goffe le movenze. Sto per chiederle se per caso non voglia una mano, quando un asciutto ragazzino sulla ventina mi anticipa con il suo accento toscano: si alza di sua sponte, le va incontro sorridente e mentre sistema i bagagli scherza sul fatto che tanto lui è abituato ai pesi, quando viaggiano la sua ragazza fa anche di peggio. “Sei un tesoro”, lo ringrazia la signora, accomodandosi di fianco al suo giovane cavaliere. “Ci mancherebbe”, le risponde lui. Io mi siedo dietro di loro, e mentre il treno riparte sento che i due continuano a chiacchierare. Il riflesso sullo schermo spento del mio pc mi consente di leggere la chat di gruppo su cui il ragazzo sta digitando. Cito a memoria ma testualmente: “E chi mi arriva di fianco a Bologna? Anche stavolta, una negra cicciona. Puzza come un cassonetto, ma perché sempre a me?”. Risposta dell’amico: “Lol” – smiley che ride – “dalle fuoco!” – smiley con la lingua fuori. Contro-risposta: “Eh, ci ho pensato, ma puzzerebbe ancora di più, maledizione” – catena di smiley che piangono lacrime. Fine episodio.
Tra l’indignazione di chi, dall’alto del suo “antirazzismo”, è pronto a collocare il giovane chattante nel girone degli elettori leghisti (magari, perché no, regalandoglielo) e le spallucce di chi, assolvendo la condotta virtuale con quella avuta nella realtà fisica, non ritiene lo scambio con l’amico meritevole di riflessione, c’è a mio giudizio un problema contemporaneo da riconoscere: siamo di fronte a un giovane che dispone con disinvoltura di diversi linguaggi, codici che è in grado di usare a brevissima distanza l’uno dall’altro, in base al contesto sociale in cui è chiamato a esprimersi (gli adolescenti leggano: a volersi integrare). Si può osservare che da sempre gli esseri umani sono multipli, ma nell’era di internet i tempi della schizofrenia si sono accorciati: i nostri smartphone ci consentono di scrivere agli amici sul lavoro e di lavorare mentre siamo con gli amici, di essere uno, nessuno e centomila, in base al gruppo o alla cerchia con cui decidiamo di interfacciarci, magari simultaneamente.
Veniamo così alla riflessione politica, giacché l’episodio del treno può aiutare a comprendere la meccanica del momento politico-mediatico che stiamo vivendo. Sembra infatti evidente che invece di portare online le consuetudini della civiltà (quelle che ci fanno tendere la mano a una signora in difficoltà), la politica, ma anche il giornalismo e altri “corpi intermedi” che un tempo strutturavano la vita della Repubblica, sia sempre più impegnata, per non perdere contatto con l’entità digitale “popolo”, a portare nel mondo reale l’anarchia del web, quella distorta forma di “libertà” che ci consente di ipotizzare per iscritto il rogo di una persona, senza avvertire in noi il senso di quello che abbiamo esternato. Così come accade oltre oceano, anche nelle province dell’Impero il consenso autenticamente popolare di cui gode l’attuale governo italiano si fonda su questo tipo di rivoluzione copernicana: è il sommerso che rivendica la luce del sole, la bruttezza che non ha più paura del microfono, l’inammissibile che si trasforma in discorso pubblico. Il ministro degli Interni con coscienza si rivolge al profilo chattante del ragazzo del treno: solo a quel profilo fornisce una patente di normalità culturale e di dignità politica, solo a quel profilo comunica che si occuperà proprio di lui, solo a quel profilo suggerisce di non vergognarsi, perché anche il suo linguaggio è legittimo; dopotutto. Se il mondo di sotto prova certi sentimenti è anzitutto colpa del mondo di sopra, ricco, ipocrita e moralista, ché tanto viaggia in business senza cattivi odori, proprio come Saviano.
Chi davvero intende opporsi a Matteo Salvini farebbe bene a riconoscere che la concessione di cittadinanza a comportamenti costituzionalmente eversivi non è un’esclusiva del leader della Lega, perché berlusconismo prima e grillismo poi hanno sdoganato da tempo questa ambiguità: qualcuno si ricorda lo show di Grillo dinanzi a un Matteo Renzi presidente incaricato, andato in scena in streaming da dentro il Palazzo del Quirinale? E che cos’è, in fondo, l’invocato impeachment per Mattarella, se non un iperbolico messaggio whatsapp mandato a caldo alla cerchia di amici che tifano per te, che in assenza della capacità di distinguere i luoghi, i livelli e i contesti della vita, della politica e della democrazia si trasforma in dichiarazione pubblica? In questo senso il ragazzo del treno infonde più speranza di Di Maio, perché oltre a non avere potere è ancora in grado di separare il contesto reale in cui si trova da quello sul telefonino, cui affida il peggio di sé.
È questo governo nella sua interezza, e non solo il ministro degli Interni, a concorrere all’abolizione dei confini tra contesti comportamentali, è questo governo nella sua interezza a concentrare la propria sostanza politica in una costante presenza mediatica, un non luogo della comunicazione immune al giornalismo perché senza mai l’onere della prova, una chat nazionale delle emozioni dove tutto è simultaneo, normale, diretto e possibile. Un messaggio che tutto può perché diramato nel nome del “bene comune”, nel nome di un popolo sovrano rimasto orfano dei limiti e delle forme della Costituzione, un’entità che entrambi i leader del cambiamento descrivono come corpo unico, privo di diversità e interessi e in quanto tale rappresentabile in toto. Dopotutto, per gli avvocati il cliente è unico: è stato questo il primo concetto espresso dal presidente del Consiglio Conte. Un’idea aberrante, quella dell’avvocato di un popolo vittima, che rende concreto il seppur abusato parallelo con il fascismo. Forse, invece di attribuire a Salvini l’abilità strategica di mangiarsi da destra gli inesperti pentastellati, potremmo cominciare a ipotizzare che lo sdoganamento e la manipolazione dei nostri peggiori istinti e irrazionalità caratterizza ab origine anche il Movimento di Grillo e della Casaleggio Associati, e che più dei vaghi punti del contratto è la condivisione di questa strategia di impoverimento culturale – diabolicamente travestita da azione democratica – a rendere stabile e coerente un esecutivo che proprio per questo non si preannuncia breve.
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