Le recenti polemiche tra Italia, da un lato, e, dall’altro, Francia, Germania, Austria, Gran Bretagna e infine l’Unione europea sull’arrivo dei migranti dalla riva sud del Mediterraneo sono state particolarmente accese. Il ministro dell’Interno Roberto Maroni è arrivato a porre la questione della possibile uscita dell’Italia dall’Europa, il che ha provocato non solo le reazioni da parte del presidente della Repubblica e dell’opposizione, ma anche di alcuni rappresentanti del governo e della maggioranza. Dal canto suo, la Lega Nord ha invitato al boicottaggio dei prodotti francesi, come il camembert e lo champagne. Questi fatti insoliti in un Paese che per ragioni storiche e strategiche è stato a lungo uno dei pilastri della costruzione europea sono indice di almeno due grandi cambiamenti in atto.
Il primo riguarda l’Italia e rivela tre dimensioni principali. I governi di centrodestra si sono sempre mostrati meno europeisti di quelli di centrosinistra. In questo modo hanno rotto platealmente con la politica tradizionale della Prima Repubblica, quella voluta dai democristiani o dai federalisti alla Altiero Spinelli, che aveva progressivamente raccolto consensi. A ciò si aggiunga che a questi stessi governi manca la necessaria credibilità politica a livello europeo e internazionale, il che ostacola i rappresentanti italiani allorché, come è costume e regola, tentano di promuovere i dossier italiani nei negoziati con i loro interlocutori. Infine, l’opinione pubblica italiana ha modificato il proprio atteggiamento nei confronti dell’euro: si mostra meno entusiasta dell’idea stessa di Europa, dando prova di un certo euroscetticismo cui si accompagna una propensione al ripiegamento sulla dimensione locale-regionale.Il secondo cambiamento si manifesta a livello dell’Unione europea. Non sempre in grado di dotarsi di una politica economica, migratoria, energetica o educativa coerente, di un modello sociale comune e di una politica estera coordinata, come la crisi libica ha dimostrato chiaramente. Da un lato, gli Stati membri hanno ceduto all’Unione una parte importante della loro sovranità. Ma, dall’altro, l’Unione europea si dimostra incapace di costruire un’Europa credibile, mentre i diversi Stati tentano di riprendersi ciò che hanno ceduto. L’Europa diventa sempre più intergovernativa. In questo contesto, da quando l’asse franco-tedesco si è eroso, gli Stati passano da un’alleanza all’altra in funzione dei loro interessi e della loro affinità. Senza un direttore d’orchestra, l’Europa rischia la cacofonia e diviene spazio per la concorrenza e i conflitti tra Stati, indebolendosi inesorabilmente, a vantaggio degli Stati Uniti e dei Paesi del Bric (Brasile-Russia-India-Cina).
A tale proposito, la “crisi dei boat people”, come l’ha definita l’“Economist”, non è un affare italiano. È un problema tutto europeo, nonché un importante campanello d’allarme. L’Europa deve uscire il più in fretta possibile da questa impasse.
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