I risultati positivi ottenuti da Mario Draghi con il nuovo piano anti-spread hanno mostrato non solo la determinazione e l’alto profilo del presidente della Bce, ma – dalla reazione positiva dei mercati e dal calo repentino dello spread – hanno messo in evidenza che si è trattato di un evento importantissimo, che ci potrebbe consentire di uscire dall’incertezza e dalla crisi dell’euro. Anche lasciando da parte troppo facili entusiasmi, date le ombre che ancora si allungano sulla moneta unica, un’idea di Europa si è fatta strada nelle stesse parole di Draghi: l’euro è irreversibile, e con esso la finalità di tutelare l’integrità di tutta l’area euro, spazzando via l’idea nefasta più volte circolata di una moneta unica a due velocità. È una doppia vittoria, finanziaria e politica.
Ma se Draghi ha svolto al meglio il suo ruolo, il rischio per quanto riguarda il nostro Paese è quello di non capire che adesso tocca ai partiti, che sono già entrati nel vivo della campagna elettorale, formulare programmi realistici, riempire di contenuti le proprie esternazioni giornaliere, rimboccarsi le maniche chiarendo a tutti che la tempesta non è passata, che le riforme devono essere continuate. Che, in definitiva, la lezione è stata imparata a dovere.
Eppure dai partiti sentiamo parlare di alleanze, ma non di programmi e contenuti. Sentiamo parlare di scontro tra giovani e vecchi, ma ancora un volta la mancanza di chiarezza sui contenuti sposta lo scontro sul piano personale, senza fare capire perché il semplice dato anagrafico dovrebbe rendere i primi migliori dei secondi. Vediamo che il linguaggio retorico e perfino quello degli insulti a volte (o sarebbe meglio dire ancora) prevale sulla chiarezza degli obiettivi di cui, invece, c’è un bisogno enorme.
Ciò che, in sintesi, manca è una certa idea di Italia, un quadro che indichi una direzione verso il futuro, che dia speranza a chi oggi si sente dimenticato e ridia senso a un “noi” oggi molto frammentato.
Ben sapendo che oggi molti problemi oltrepassano la dicotomia destra/sinistra, ci sono alcuni quesiti che, se avessero risposte da entrambi gli schieramenti, potrebbero almeno delineare i contorni della società che vogliamo.
Primo. La giustizia, l’illegalità e la corruzione. Sappiamo che la criminalità organizzata ha un costo economico elevatissimo, oltreché civile e morale. Limitandosi al “sommerso”, l’Istat lo valuta intorno al 16-17% del Pil. Non c’è possibilità di attrarre investimenti in Italia, di creare imprese al Nord come al Sud se questa piaga non verrà eliminata. Per non dire della lunghezza e della inadeguatezza dei processi civili che creano cittadini rassegnati a non far valere le proprie ragioni, trasformandoli in sudditi. Come si intende aggredirla? Con quali strumenti? Con quali tempi?
Secondo. Il risanamento economico: che cosa si ha in mente di fare? Le forze in campo devono dire con chiarezza se intendono proseguire sulla via del rigore tracciata da Monti o se già pensano che, passata la buriana, tutto tornerà come prima. Devono, però, anche dire se si impegnano a commisurare l’enorme peso delle tasse che ci è stato somministrato al miglioramento del funzionamento dei servizi pubblici.
Terzo. Il rinnovamento della politica. Ha molte facce, ma è il punto più delicato, quello che ha le maggiori ricadute sulla fiducia dei cittadini. La fiducia, come sappiamo, ai livelli minimi in Italia, sopravvive solo se prevale il concetto che il sistema è equo. Si intende abbattere i privilegi da Ancien régime che ancora rendono in Italia alcune categorie di persone più uguali di altre? Si pensa davvero di ridurre il numero dei parlamentari, consiglieri ai vari livelli e i loro stratosferici stipendi e incredibili vitalizi? Soprattutto, si intende rivedere il sistema di finanziamento ai partiti, si intendono davvero spezzare conflitti di interesse di vario tipo, il rapporto perverso tra politica e affari che inficia la concorrenza, frena il ricambio generazionale e blocca l’ingresso dei giovani meritevoli ai posti dirigenziali?
Quarto. Il progresso culturale. Qui tocchiamo il nervo scoperto di un sistema scolastico rattrappito e screditato, di un’ignoranza diffusa (nonostante i progressi della scolarizzazione), di una ricerca che ha picchi di eccellenza, ma pochi sostegni e scarsa attenzione, di una cultura umanistica ancora separata da quella scientifica, di una sistematica incapacità di valorizzare competenze, talenti, creatività. Ma tocchiamo anche quello del tradizionalismo e conformismo che caratterizzano la nostra cultura diffusa in tema, ad esempio, di diritti civili.
Per riacquistare l’autorevolezza perduta i partiti è a queste (e altre) domande che devono rispondere, con semplicità e chiarezza. Per fare tutto questo serve un’identità. Ma questa identità esiste?
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