Non è facile decifrare il rebus dell’ormai prossima elezione del sindaco di Milano. Persino gli addetti ai lavori faticano a raccapezzarsi negli eventi degli ultimi mesi. Quasi dieci, per la precisione, ne son passati da quando, domenica 22 marzo, Giuliano Pisapia, indossando un pulloverino color tortora, ha comunicato alla stampa, convocata per l’occasione, di non aver intenzione di ricandidarsi alla guida dell’amministrazione comunale, in coerenza con ciò che aveva dichiarato in campagna elettorale, e per favorire il rinnovamento. Lo stile di quella insolita conferenza stampa fu tipico di una certa borghesia meneghina che Pisapia ha contribuito a riportare alla ribalta della politica nazionale: assenza di enfasi, niente sbavature retoriche, il sindaco ha anticipato il proprio congedo dalla politica attiva con la stessa serenità con cui si potrebbe informare un vecchio amico col quale si gioca abitualmente a tennis che si sarà costretti a saltare una partita per via di altri impegni. Questo per quel che riguarda la forma, perché la sostanza, invece, era dirompente. A qualche settimana dall’apertura di Expo, e senza aver consultato gli assessori della giunta, Pisapia spiazzava alleati e avversari aprendo la questione della propria successione alla guida di Palazzo Marino.
In realtà, per chi in quei giorni seguiva da vicino le vicende della politica milanese, l’ipotesi che Pisapia non fosse disposto a ricandidarsi non era del tutto nuova. Non solo per via delle dichiarazioni fatte in campagna elettorale. Alle tensioni che stavano accompagnando il conto alla rovescia per Expo non erano del tutto estranee, infatti, anche voci riguardanti le intenzioni del sindaco. Tanto è vero che, a poche ore dall’annuncio di Pisapia, c’era già chi evocava «veleni, trame e pressioni» per spiegarne la rinuncia. Nel giro di pochi giorni, un osservatore attento come Gianni Barbacetto, parlava addirittura di approcci, da parte di dirigenti del Pd milanese e, autonomamente, anche di alcuni di Forza Italia, nei confronti di Giuseppe Sala, commissario Expo, in vista di una sua candidatura come sindaco di una giunta retta da un’alleanza dei due partiti. Nel frattempo, le cose sono cambiate per quel che riguarda Forza Italia, che oggi è alleata con la Lega, ma qualcosa di vero nello scenario delineato da Barbacetto doveva esserci, se proprio Sala è accreditato come uno dei contendenti che dovrebbero partecipare alle primarie che designeranno il candidato del Centrosinistra. Tra l’altro, quello che sembra avere l’endorsement del gruppo dirigente del Pd nazionale (anche se Matteo Renzi, per ora, si guarda bene dal prendere posizione sul punto).
Vista in questa prospettiva, la mossa di Pisapia potrebbe assumere un significato diverso. Senza negare che le motivazioni addotte nella conferenza stampa fossero sincere, si potrebbe ipotizzare che il sindaco in carica perseguisse anche un altro scopo nel dichiararsi fuori dalla competizione: ovvero, quello di non farsi logorare da una lunga campagna elettorale, dominata per mesi dall’incognita Expo, e di guadagnare una maggiore libertà di movimento per esercitare la propria influenza morale in vista delle prossime elezioni amministrative. Non era un segreto per nessuno che la maggioranza che attualmente regge – con successo – la giunta Pisapia fosse incompatibile con i disegni che Renzi, e forse più ancora i suoi più aggressivi sostenitori, hanno per il futuro del Pd, e quindi del centrosinistra. Diversa è la comunicazione. La «narrazione» di Pisapia, ammesso che esista una cosa del genere, procede per sottrazione. Refrattario all’iperbole renziana, egli sa usare con sapienza i gesti, di cui talvolta sembra fidarsi più che delle parole. Sono proprio gli atti che gli hanno consentito di tenere insieme i ceti professionali e imprenditoriali e le periferie, l’economia e la solidarietà. Riuscendo nel miracolo politico di far lavorare insieme in sostanziale armonia la sinistra più radicale e i democratici, i vecchi socialisti e i moderati. Diversi sono anche i contenuti. Pur essendo un’alleanza pluralista, quella che sostiene la giunta «arancione» non ha mai abdicato a caratterizzarsi come orientata a sinistra. Nell’orizzonte di Pisapia non c’è la sinistra radicale delle chiacchiere, ma neppure il «partito della nazione». C’è invece l’aspirazione a ricucire con pazienza la tela di un riformismo sociale che proprio a Milano ha avuto la sua testa per buona parte del Novecento.
Se questa interpretazione dell’agenda di Pisapia fosse corretta, risulterebbe anche più chiaro l’atteggiamento che egli ha tenuto in questi mesi, e in particolare dopo il successo di Expo, quando in molti gli chiedevano di tornare sui suoi passi e di rendersi disponibile per una nuova candidatura (che allo stato attuale, in assenza di un contendente di peso a destra, avrebbe il consenso della maggioranza dei milanesi). Rifiutarsi costantemente di dire chi è il «suo» candidato, insistendo invece su questioni di metodo, a cominciare dalle primarie, avrebbe un senso proprio nella prospettiva di promuovere un consolidamento della coalizione «arancione». Mano a mano che la data delle primarie si avvicina, appare chiaro che questo approccio dovrebbe imporre, nelle intenzioni di Pisapia, degli oneri ai candidati, che non tutti potrebbero accettare con la stessa tranquillità. Quando, ad esempio, si dice che i perdenti devono impegnarsi a fare la campagna per il vincente, la cosa non appare inconcepibile nel caso di Francesca Balzani o di Pierfrancesco Majorino. Un po’ meno plausibile se uno prova a immaginare Sala a fare campagna per i primi due.
Alla fine forse è questo che sconcerta di ciò che accade a Milano. Pisapia, che fino ad ora è stato un vincente, rinuncia a vincere di nuovo e indica alla propria parte un obiettivo ambizioso, che va al di là dell’elezione del sindaco. Un disegno di rinnovamento della sinistra che riguardi metodi e contenuti, e che per il momento appare alternativo a quello portato avanti da Renzi. A giudicare dalla confusione che regna in primo luogo tra quelli che sono stati i suoi più diretti collaboratori, ci sono poche probabilità che il tentativo vada a buon fine. Ma è vero anche che nel 2011 pochi avrebbero scommesso su Pisapia sindaco.
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