Il 30 agosto scorso ci ha lasciato Andrea Battistini, un uomo solo, diritto, schivo e forte che molto ha dato al Mulino e a tutti noi. Ha diretto «Intersezioni», è stato socio dell’Associazione e membro del Consiglio editoriale dell’editrice.Allievo di Ezio Raimondi, aveva percorso l’intero cursus honorum presso l’Università di Bologna, prima come studente, poi come professore, direttore del Dipartimento di Italianistica, consigliere d’amministrazione dell’Ateneo.
La sua passione era la letteratura, e ad essa aveva dedicato più di ottocento pubblicazioni. Vico ne costituisce il primo nucleo tematico, la «lunga fedeltà» di Andrea va dalla tesi di laurea del 1969 almeno sino al Vico tra antichi e moderni del 2004. Vi spicca la cura dei due volumi delle opere di Giambattista Vico nei Meridiani Mondadori. Il suo commento è davvero esemplare: un dono prezioso per la fine del secolo scorso a tutta la comunità scientifica internazionale.
Un secondo filone della sua ricerca scorre, come non ci si poteva non aspettare da un discepolo di Ezio Raimondi, nell’alveo della retorica. Già il primo dei volumi vichiani si intitolava, nel 1975, La degnità della retorica. A distanza di quindici anni allievo e maestro componevano insieme, a quattro mani, Le figure della retorica. In quel libro memorabile veniva percorsa, attraverso le poetiche e le retoriche di volta in volta pre- dominanti, tutta la letteratura italiana, con esiti spesso sorprendenti. Ancora nel campo della retorica, il genere particolare della autobiografia (dai diari alle memorie, dalle biografie ai romanzi) ha ispirato un altro volume, Lo specchio di Dedalo. Infine, soltanto quattro anni fa, una summa dantesca, La retorica della salvezza. Resta poi un terzo campo dell’interesse di Andrea: quello dei rapporti tra letteratura e scienza. Bisogna leggere la sua edizione marsiliana del Sidereus nuncius, il profilo Galileo, e il volume Galileo e i Gesuiti, per cominciare a capire l’interesse non solo storico di Andrea per questo tipo di scrittura.
Trascurando ora i contributi, talvolta recentissimi, sul Barocco, il Settecento e il Novecento, è La retorica della salvezza, l’ultimo volume uscito nel 2016, quello che mi è più caro tra i libri di Battistini. È vero, raccoglie saggi preesistenti, ma il modo nel quale l’autore li ha riscritti e adattati per far sì che apparissero spontaneamente scaturiti da un’unica ispirazione è davvero mirabile. Sin dalle pagine di apertura della Premessa, nelle quali viene affermata l’affinità tra Dante e Mosè, e fino alle ultime, sull’universo che si squaderna, una tensione formidabile regge il discorso – quella volta a «tentare una tassonomia dei significati morali e spirituali rivestiti dai ruoli dominanti delle singole figure, una volta preso atto che in Dante è la retorica ad animare le verità di fede, a tradurre i sillogismi della logica, a rappresentare per immagini i dogmi».
Andrea possedeva un sorriso che, da timido, si trasformava subito in aperto e cordiale quando riconosceva l’interlocutore come amico e quando gli sorgeva spontaneo uno humour sottile e arguto: una quieta allegria si impadroniva allora di lui e lo rendeva tranquillo centro d’attrazione in un colloquio, una conferenza, un convegno. Mai, come invece tanti accademici, prepotente, era naturalmente capace di un’empatia straordinaria. Il 2 agosto scorso, per dirne una, avendo saputo che ero stato davvero poco bene, mi scriveva, lui seriamente malato, un carissimo messaggio per informarsi sulla salute e sulla «scoppola», come la chiamava, che avevo preso un paio di mesi prima.
Vorrei ricordarlo così, e felice come lo era l’anno passato a quest’epoca, quando venne in Val d’Aosta a ricevere il Premio Sapegno: che per fortuna abbiamo fatto in tempo a conferirgli, rendendogli l’onore che meritava. Cosciente del male che lo consumava, sorrideva però beato sotto il cielo azzurro e teneva due lezioni formidabili che incantavano il pubblico.
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