Ha suscitato una certa sensazione la proposta avanzata in vista del Consiglio europeo dello scorso 9 febbraio di finanziare con fondi europei il rafforzamento e l’estensione della barriera di 270 km già esistente al confine con la Turchia. La proposta, sostenuta da un gruppo di Paesi membri guidati dal cancelliere austriaco, si inserisce in un contesto di preoccupazioni crescenti per l’imminente ingresso nello spazio di libera circolazione Schengen di Romania e Bulgaria.

Non è la prima volta che proposte simili vengono avanzate. In particolare, nell’ottobre 2021 con una lettera indirizzata al vicepresidente della Commissione Ue, Margaritis Schinas, e alla commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, i ministri degli interni di dodici Paesi membri chiesero il supporto finanziario della Ue per la costruzione di “barriere fisiche” a protezione dei confini esterni.

Anche in questa occasione, come già nell’autunno 2021, la proposta di finanziare la costruzione di muri e barriere ai confini europei è stata accolta con scetticismo. Le conclusioni adottate dal Consiglio europeo si limitano infatti a invitare la Commissione a mobilitare mezzi e risorse per supportare i Paesi membri nel rinforzare le loro “border protection capabilities and infrastructure”.

In particolare, la Commissione lancerà due progetti pilota in Bulgaria con l’obiettivo di fornire veicoli, videocamere a infrarossi, torri di controllo e altri strumenti di sorveglianza, e ottimizzare le procedure di screening sulle persone in ingresso. In pratica, il supporto tecnico e finanziario offerto alla Bulgaria consentirà al Paese di concentrare le sue risorse sul completamento della barriera fisica lungo il confine con la Turchia.

Difficile immaginare che la Ue resista a lungo alle ormai insistenti richieste di diversi Paesi membri. Con il pretesto di salvare il già logoro spazio di libera circolazione, finirà prima o poi per finanziare esplicitamente la costruzione di un great blue wall ai confini d’Europa, per parafrasare qui il celebre slogan usato da Donald Trump quando, all’atto di annunciare la sua candidatura per la presidenza, promise di completare il tracciato del muro che è stato via via costruito lungo alcune sezioni dei 3.200 km del confine terrestre che divide gli Stati Uniti dal Messico.

Ciò sarebbe del resto in linea con una tendenza alla crescita del numero di fortificazioni frontaliere già evidenziata da tempo dagli studiosi. I casi più noti sono ovviamente il già menzionato muro che divide gli Stati Uniti dal Messico e la Security Fence che cinge la Cisgiordania, ma secondo Ron Hassner e Jason Wittenberg oltre 25 nuovi muri sono stati eretti dal 2000 in poi, mentre Élisabeth Vallet ha di recente censito l’esistenza di 74 barriere, più altre 15 la cui costruzione è già pianificata.

A dispetto dello stigma che sul vecchio continente continua ad essere associato alla costruzione di barriere e muri, non mancano i Paesi europei che hanno dato un contributo significativo alla loro proliferazione.

Le fortificazioni più risalenti nel tempo sono quelle che circondano le enclave spagnole di Ceuta e Melilla, erette sul finire degli anni Novanta. Da allora hanno costruito barriere lungo i loro confini anche la Grecia (al confine terrestre con la Turchia), la Bulgaria (al confine terrestre con la Turchia), l’Ungheria (ai confini con Serbia e Croazia) e da ultimo Polonia e Lituania (lungo i loro confini terrestri con la Bielorussia).

Lo spazio Schengen è attualmente protetto da 19 barriere o fortificazioni, che si estendono per oltre 2.000 km. Ciò significa che circa il 13% dei confini europei è già fortificato

Secondo le stime incluse in un recente report dello European Parliamentary Research Service, lo spazio Schengen è attualmente protetto da 19 barriere o fortificazioni, che si estendono per oltre 2.000 km. Se si considera che i confini esterni della Ue hanno una estensione di circa 12.000 km, ciò significa che circa il 13% dei confini europei è già fortificato. Una percentuale destinata forse a salire ulteriormente data la rapidità con cui l’estensione dei muri è cresciuta tra 2014 e 2022, passando in soli otto anni da 315 a 2.048 km.

Sebbene sia ricorrente il richiamo a metafore belliche per giustificare la costruzione di nuovi muri, come ad esempio nella lettera dei dodici ministri degli interni della Ue, dove si fa chiaramente riferimento all’immigrazione come “minaccia ibrida” utilizzata per destabilizzare la Ue, la fortificazione delle frontiere è stata negli ultimi due decenni soprattutto guidata dal desiderio di proteggere le regioni più ricche del mondo dalle migrazioni indesiderate. A differenza che in passato, quando la costruzione di muri aveva una funzione prevalentemente politico-militare, il processo di fortificazione dei confini è oggi fortemente asimmetrico. I muri servono a tutelare il privilegio economico, facendo somigliare le regioni più ricche del mondo a delle autentiche gated communities.

I muri restano tuttavia un artefatto giuridico complesso. È ad esempio indubitabile sul piano del diritto internazionale che gli Stati abbiano il diritto di demarcare e proteggere i loro confini e non è un caso che nelle poche occasioni in cui le corti si siano trovate a valutare la legittimità della costruzione di fortificazioni frontaliere, queste siano state in genere interpretate come una tipica manifestazione della prerogativa sovrana.

Il diritto della Ue non sembra vietare esplicitamente la costruzione di frontiere, limitandosi a dire che l’attività di sorveglianza dei confini possa essere svolta “facendo ricorso anche a mezzi tecnici, compresi dispositivi elettronici” (art. 13(4) regolamento 2016/399). Gli Stati membri devono tuttavia agire nel rispetto del diritto della Ue, compresa la Carta dei diritti fondamentali, nonché dei pertinenti obblighi di diritto internazionale inerenti l’accesso alla protezione internazionale e la tutela dei diritti fondamentali (art. 4, regolamento 2016/399), conducendo le attività di controllo della frontiera in maniera professionale, rispettosa e “proporzionale agli obiettivi perseguiti” (considerando n. 7, regolamento 2016/399).

Costruendo muri alle loro frontiere, gli Stati esercitano una estrema forma di controllo senza contatto, dato che la mobilità umana è impedita dall’inerzia passiva delle barriere fisiche senza che le autorità abbiano necessità di intervenire attivamente. Così facendo, tuttavia, i Paesi di destinazione si isolano dai loro obblighi internazionali, impedendo fisicamente l’accesso all’asilo dei potenziali richiedenti. Le caratteristiche fisiche delle fortificazioni creano inoltre numerosi rischi per l’integrità fisica e la vita di migranti e richiedenti asilo, per tale ragione muri e barriere appaiono mezzi di controllo sproporzionati rispetto all’obiettivo di impedire l’ingresso non autorizzato nello spazio Schengen.

Oltre che dal punto di vista giuridico, muri e barriere sono criticabili anche dal punto di vista della loro efficacia, soprattutto in relazione agli enormi costi di costruzione e manutenzione.

Sebbene non esistano dati che consentano una dettagliata analisi controfattuale, è opinione diffusa che le barriere non incidano positivamente sulla riduzione dei migranti irregolari presenti sul territorio dei Paesi di destinazione. L’effetto di breve termine che è possibile ottenere in una determinata sezione del confine è largamente controbilanciato dalla capacità dei migranti di trovare alternative, tra le quali la principale rimane quella di fare ingresso con un regolare visto per poi trattenersi oltre la sua naturale scadenza.

Sono tuttavia soprattutto gli effetti strategici di lungo termine a rendere svantaggiosa la fortificazione dei confini. Aumentando la difficoltà di un attraversamento indesiderato, i muri incrementano la domanda di servizi di “facilitazione” di fatto stimolando la nascita di una rete organizzata di smugglers che in definitiva crea nuove minacce sia per la sicurezza degli Stati, sia per la sicurezza umana dei migranti. La costruzione di muri è inoltre percepita come un atto ostile dai Paesi vicini, portando sovente a un indebolimento della cooperazione bilaterale da cui in gran parte dipende la capacità dei Paesi di destinazione di controllare i flussi transfrontalieri indesiderati.

Muri e barriere hanno una funzione meramente “teatrale”, mettono in scena una forza e un’efficacia che in realtà non sono in grado di esercitare

A fronte di tale apparente inefficacia dei muri, molti hanno insistito sulla loro valenza simbolica. Muri e barriere hanno una funzione meramente “teatrale”, mettono in scena una forza e un’efficacia che in realtà non sono in grado di esercitare. Essi sono parte di uno spettacolo del confine chiamato a riaffermare simbolicamente la capacità dello Stato-nazione di rinchiudersi nel suo contenitore territoriale, anche eventualmente erigendo segni visibili della sua sovranità.

I nuovi muri hanno dunque a che fare con il management dell’immagine della frontiera più che con un autentico controllo dei movimenti transfrontalieri, che vengono solo rallentati e spostati. A fronte dell’incapacità della Ue di fare sostanziali progressi sul piano della riforma dei meccanismi comuni di gestione delle migrazioni, è dunque comprensibile che alcuni leader premano per dare in pasto all’opinione pubblica l’immagine di una frontiera europea sempre più fortificata.