Una volta di più, il governo italiano sta dando pessima prova di sé sul piano internazionale. Del resto, è quando si passa dall’ordinaria amministrazione alle situazioni di crisi che emergono le carenze. Sia quelle strutturali, ereditate dal passato, sia quelle contingenti, frutto dell'impreparazione, del dilettantismo e del provincialismo dei governanti.
La primavera araba è il fatto nuovo positivo che contrassegna questo decennio: così come l’11 settembre e suoi postumi aveva marchiato in maniera macabra e terribilmente nefasta il primo decennio del nuovo secolo, così questo risveglio democratico delle opinioni pubbliche del Mediterraneo e del Medioriente sembra destinato a influire per il meglio su molti versanti, da quello dell’espansione della democrazia a quello di nuove relazioni tra le sponde del Mediterraneo, fino a incidere, in prospettiva, sulla questione israelo-palestinese.
Di fronte a una tale situazione, la politica italiana è stata risucchiata in una serie di azioni-reazioni tipiche di un Paese piccolo.
Il Primo ministro e il ministro degli Interni, in particolare, seguiti a ruota da quello della Difesa, hanno commesso una serie impressionante di gaffes e di passi falsi, tutti all’insegna del provincialismo. Vale a dire dell’assenza di un rapporto reale con le classi dirigenti europee e internazionali (fanno eccezione le “intese cordiali” con personaggi quali Putin, Nazarbaiev, Lukaschenko e Gheddafi) e di confidenza con gli organismi internazionali, a cominciare dall’Unione europea. Se sono stati evitati disastri peggiori è solo grazie alla competenza e alla qualità del personale diplomatico. La dimostrazione più clamorosa a supporto di questo giudizio viene dal comportamento del ministro degli Interni di fronte all’arrivo dei migranti sulle nostre coste. Dopo aver sparato cifre iperboliche – e non in un comizietto nel varesotto, ma in sedi ufficiali – sull’arrivo di “centinaia di migliaia” di immigrati (sollevando immediatamente lo sconcerto degli esperti e dei policy maker europei), ha iniziato a lamentarsi con insistenza e querula aggressività dello scarso sostegno dei Paesi europei.
Proprio qui emerge tutto il pressapochismo e il dilettantismo con cui il governo si muove nell’arena internazionale. Il ministro Maroni ha infatti totalmente ignorato – e lo stesso, purtroppo, hanno fatto molti commentatori autorevoli e diversi giornali indipendenti – che negli ultimi anni i flussi migratori hanno investito altri Paesi con cifre ben superiori a quelle registrate a Lampedusa; Paesi, spesso più piccoli dell’Italia, che non si sono lamentati per la scarsa solidarietà comunitaria. Basti pensare che solo nel 2010 la piccola Grecia (un ottavo di abitanti rispetto all’Italia) ha fatto fronte – in solitaria – all’ingresso di 31.186 immigrati dalla frontiera con la Turchia, oltre a quello di altri 27.030 provenienti dall’Albania. Tutta l’Italia ne ha ricevuti poco più di 6.000. Inoltre, mentre noi abbiamo accolto 8.200 rifugiati, grandi Paesi come Francia e Germania ne hanno accolti almeno cinque volte tanti – 47.800 e 41.300 rispettivamente – ma ancora di più hanno fatto Paesi più piccoli: 31.800 la Svezia, 19.900 il Belgio, 13.300 l’Olanda, 11.000 l’Austria, 10.300 la Grecia.
Di fronte a queste cifre, al posto dei piagnistei, indegni per un grande Paese, si sarebbe dovuto invece fare ammenda, ammettendo la nostra assenza nel fornire assistenza agli altri piccoli Paesi, per poi porre in maniera razionale e civile il problema di una migliore gestione degli immigrati extra-comunitari: consapevoli che una responsabilità collettiva da parte dell’Ue significherebbe accollarsi un numero maggiore di migranti rispetto ai Paesi più piccoli. Ma forse il ministro Maroni non lo immagina nemmeno. Dilettantismo e provincialismo, appunto.
Riproduzione riservata