La questione del lavoro prestato di domenica o durante le festività civili o religiose è tornata prepotentemente di attualità in occasione dell’apertura nel giorno di Pasqua dell’outlet di Serravalle Scrivia (Alessandria), che neanche uno sciopero, pur discretamente partecipato e ben organizzato, è riuscito a impedire. La copertura mediatica del caso è stata per qualche giorno elevata, anche per l’intervento di esponenti politici nazionali (il post su Facebook del vicepresidente della Camera Luigi Di Maio è quello che ha avuto maggiore rilevanza) e dei principali sindacati del commercio (Filcams-Cgil e Fisascat-Cisl), tutti concordi nello stigmatizzare la decisione della multinazionale McArthurGlen, proprietaria dell’outlet, di alzare le serrande in un giorno che, indipendentemente dal sentimento religioso di ciascuno, è un momento importante di coesione sociale e familiare. Ma il problema va ben oltre il caso di Serravalle, come dimostra l’incapacità delle forze politiche di trovare una convergenza parlamentare sul DDL S n. 1629 (fermo al Senato dal 2015), che dovrebbe rivedere la piena liberalizzazione delle aperture domenicali e festive per gli esercizi commerciali disposta dal Governo presieduto da Mario Monti con il d.l. n. 201/2011 (convertito con modifiche dalla l. n. 214/2011), recante «disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici».
È bene precisare, onde sgombrare il campo da facili equivoci ed evitare improprie sovrapposizioni di piano sulla questione del lavoro domenicale o nei giorni di festa, che la disciplina di legge è improntata, sotto entrambi i profili, da prima del 2011, a un’elevata flessibilità. In particolare, per quanto attiene al diritto al riposo settimanale, sancito dalla Costituzione all’articolo 36, comma 3, la legge (d.lgs. n. 66/2003, art. 9) si limita a prevedere, da un lato, che esso coincide «di regola» con la domenica e, dall’altro, che il periodo di riposo consecutivo di almeno 24 ore può essere calcolato anche «come media su un periodo non superiore a 14 giorni» (il che vuol dire che non necessariamente il riposo interviene dopo 6 giorni consecutivi di lavoro). Insomma, la regola del riposo domenicale ha carattere tendenziale, come si evince per di più dall’ampia gamma di eccezioni previste dalla legge o dalla contrattazione collettiva. Del resto, in non pochi settori o attività (industrie a ciclo continuo o turismo, ad esempio), per alcune modalità di svolgimento della prestazione (lavoro a turni) o nel settore dei servizi pubblici essenziali il riposo domenicale può non rappresentare affatto la regola. Per quanto attiene alle festività civili o religiose (il cui elenco completo si rinviene alla l. n. 260/1949, come modificata negli anni) il lavoratore ha diritto all’osservanza dell’«orario festivo»: ossia, all’astensione dal lavoro, non con finalità di recupero delle energie psico-fisiche, ma di partecipazione a momenti rilevanti della vita sociale e civile. Va da sé che anche in costanza di festività, nei settori in cui una completa interruzione delle attività pregiudicherebbe interessi primari della collettività o, in alcuni casi, dei privati, la regola dell’astensione dal lavoro subisce eccezioni.
È inutile girarci ancora attorno: la regola del riposo settimanale e durante le festività civili o religiose conosce già ampie deroghe ed eccezioni, ma ciò avviene per lo più allorché si tratti di contemperare i diritti del lavoratore con altre esigenze, aventi talora rilievo preminente. Spesso peraltro con la mediazione degli attori sociali, cui è demandato il delicato compito di comporre interessi in conflitto, affinché la prevalenza di uno di essi non sia assoluta o comunque priva di compensazioni. La questione non è se il lavoro domenicale o festivo sia o meno legittimo – si tratta già di una realtà – né se esso abbia contribuito a sfaldare i legami sociali e familiari – se nella contemporaneità son resi «liquidi» è affare complesso, che non si presta a facili strumentalizzazioni o semplificazioni. La questione è piuttosto se l’apertura degli esercizi commerciali costituisca un’esigenza in grado di prevalere sempre e comunque sulle posizioni giuridiche poste dalla legge a tutela del lavoro. Lo shopping dunque è un diritto fondamentale? Auspicabilmente, non ancora. E allora non esiti il Parlamento a intervenire per rimediare a un errore grossolano che, a quanto pare, non ha sortito gli effetti sperati sul piano occupazionale. Una proposta: ripristinare il divieto – per gli esercizi commerciali – di apertura durante le festività civili o religiose e affidare la scelta di aprire o meno la domenica ad accordi collettivi stipulati dalle imprese o dalle loro organizzazioni con le organizzazioni sindacali più rappresentative, a seconda delle esigenze del territorio, individuando specifiche compensazioni per i lavoratori.
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