Questo articolo fa parte dello speciale Società migranti
Nonostante gli scandali che hanno coinvolto la Lega e Fratelli d’Italia (FdI), la destra populista radicale in Italia è rimasta alla ribalta. Il 18 ottobre 2021, all’indomani dei ballottaggi delle elezioni amministrative, i sondaggi circa gli orientamenti di voto riportavano FdI come primo partito, con il 21,1%, seguito dalla Lega con il 19,4% e dal Partito democratico (Pd) con il 19,2%. Il Movimento 5 Stelle (M5S) intercettava solo il 16,4% delle intenzioni di voto. Rispetto a una settimana prima, FdI aveva registrato un aumento del +0,4%, la Lega e il Pd del +0,2%, mentre il M5S aveva perso lo 0,5%.
È dunque lecito riflettere sui motivi per cui Lega e FdI riescono ad attrarre una larga porzione dell’elettorato nonostante eventi che ne ledono l’appeal sugli elettori. L’analisi delle cause del voto per la destra populista radicale si sono concentrate, in letteratura accademica, sull’aspetto della domanda e dell’offerta. Dal punto di vista della domanda, la percezione, da parte della classe media, del peggioramento della situazione economica e del proprio status socio-economico, insieme a un backlash culturale nei confronti degli immigrati (cfr. P. Norris e R. Inglehart, Cultural Backlash: Trump, Brexit and the Authoritarian Populism, Cambridge University Press, 2019), possono essere fattori determinanti nelle intenzioni di voto per la destra populista. Dal punto di vista dell’offerta, Lega e FdI hanno sdoganato la politica dell’identità (cfr. F. Fukuyama, trad. it. Identità. La ricerca della dignità e i nuovi populismi, Utet, 2019), basata sul rigetto dei valori liberali, dei processi di integrazione sovranazionale e del multiculturalismo, in nome della sovranità nazionale e di ideali nativisti.
In questa cornice ideologica, la stigmatizzazione dell’immigrazione, considerata una minaccia quando alla sicurezza, quando alla salute, alla prosperità economica o alla cultura nazionale, ha avuto un ruolo centrale. Lega e FdI hanno ampiamente tracciato il profilo degli immigrati come «altri», spesso tendenti al crimine, al contagio e all’inferiorità (cfr. M. Griffini, The Civic Discourse: Representing Immigrants in the Italian Far Right, in Approaches to Migration, Language and Identity, a cura di A. Auer, Peter Lang, 2020), con l’obiettivo di fornire una spiegazione – parziale, ma sicuramente perfettamente comprensibile ed emotivamente forte – alle difficoltà e alle incertezze delle persone più colpite dalla crisi economica.
Durante la pandemia, Lega e FdI hanno spesso collegato il tema dell’immigrazione con quello della difesa della nazione italiana dal nemico patogeno, cioè il Covid-19, spesso contrapponendo agli italiani chiusi in casa, vittime delle restrizioni anti-Covid-19, gli immigrati «liberi» di sbarcare sulle coste italiane e muoversi senza restrizioni sul suolo italiano. Come mostra l’ultimo rapporto dell’Associazione Carta di Roma, gli immigrati sono stati spesso additati come veicoli del virus. In particolare, Lega e FdI hanno enfatizzato il pericolo che i centri di accoglienza diventassero ricettacoli di diffusione del Covid-19. Inoltre, la destra si è fatta portavoce di una certa narrazione secondo cui gli italiani dovevano soffrire le conseguenze economiche della pandemia, mentre agli immigrati era concesso lavorare. Dunque, il Covid-19 è servito strategicamente alla Lega e a FdI per rinforzare il discorso anti-immigrazione, riconoscendo nell’immigrato una potenziale fonte di contagio, di instabilità economica, oltre che di discriminazione a discapito degli italiani privati di libertà di movimento durante i mesi di lockdown.
Qual è stata – se c'è stata – la risposta delle forze politiche di centrosinistra alla narrazione xenofona della destra, che ha indicato gli immigrati come fonte di contagio e instabilità economica?
Viene da chiedersi quale sia stata la risposta delle forze politiche di centrosinistra alla narrazione xenofoba della destra, e più in generale, se almeno parte del declino elettorale dei partiti mainstream di sinistra sia spiegabile con la loro incapacità di formulare una narrazione altrettanto coerente e convincente sul tema dell’immigrazione.
Recenti studi mostrano come spesso i partiti non-populisti – come nel caso del partito laburista in Regno Unito, ma anche del Pd nostrano – abbiano reagito al successo elettorale dei partiti populisti cooptando parte della loro retorica e dei loro contenuti nelle proprie piattaforme politiche, in un tentativo (risultato invero fallace) di arginarli facendo loro concorrenza sullo stesso terreno di gioco (cfr. Populism and New Patterns of Political Competition in Western Europe, a cura di D. Albertazzi e D. Vampa, Routledge, 2021). Le strategie possibili, in realtà, sarebbero state diverse, tra cui l’isolamento, l’accettazione o il contrasto diretto ai partiti populisti.
È interessante notare come la cooptazione delle posizioni populiste sia avvenuta molto di più su temi legati all’immigrazione rispetto ad altri temi cosiddetti post-materialisti, come ad esempio i diritti civili, e ancor meno su temi economici, verso i quali i partiti populisti spesso hanno adottato posizioni a favore di una generosa spesa sociale, mentre i partiti di centrosinistra hanno sposato il dogma neoliberista.
L’Italia è un caso interessante da questo punto di vista, dal momento che si vede chiaramente come il Pd, la principale forza della sinistra moderata, abbia addirittura per primo dato avvio a un processo di cambiamento del paradigma delle politiche migratorie. A partire dal 2017, quando l’ex ministro dell’Interno abbracciò apertamente un processo di criminalizzazione della solidarietà verso i migranti e una politica di gestione dei flussi migratori basata su accordi con i Paesi di origine e transito, in primis la Libia, volti ad impedire ai cittadini stranieri di lasciare i propri Paesi di origine. È quindi stato il centrosinistra, in un certo senso, a preparare il terreno all’azione di contrasto all’immigrazione culminata con i decreti sicurezza di Matteo Salvini.
Questa tesi è confermata anche da un’analisi attenta dei frames più usati dal Pd in sede di deliberazione parlamentare. Se da un lato il partito sposa valori universalistici per quanto riguarda i diritti culturali delle minoranze, dall’altro, però, è favorevole all’aumento dei controlli alle frontiere e non mette in discussione l’attuale assetto del sistema di governance dell’immigrazione, tanto a livello nazionale quanto a livello europeo (cfr. S. Gianfreda, Where Do the Parties Stand? Political Competition on Immigration and the Eu in National and European Parliamentary Debates, Springer, 2021).
La chiusura dei confini nazionali durante i mesi di lockdown ha messo in evidenza, forse come mai prima, quanto l’immigrazione sia ormai un fenomeno non solo strutturale, ma necessario per l’economia del nostro Paese
Un’ultima considerazione riguarda l’impatto di lungo periodo che la pandemia potrebbe avere sulla narrazione del fenomeno migratorio in Italia. Se è vero, come abbiamo sottolineato, che durante la pandemia i cittadini stranieri sono stati usati come capro espiatorio per spiegare un fenomeno complesso come quello della trasmissione del virus Covid-19, è altrettanto vero che la chiusura dei confini durante i mesi di lockdown, e la conseguente impossibilità per i lavoratori stranieri stagionali di lasciare i propri Paesi di origine, ha messo in evidenza, forse come mai prima, quanto l’immigrazione sia ormai un fenomeno non solo strutturale, ma necessario per l’economia e il Welfare del nostro Paese.
Secondo i dati dell’ultimo Rapporto sull’economia dell’immigrazione della Fondazione Leone Moressa (2021), gli occupati stranieri in Italia sono 2,5 milioni e producono un valore aggiunto di 134,4 miliardi, ossia il 9% del Pil, con incidenza maggiore nei settori dell’agricoltura (17,9%) e delle costruzioni (17,6%). E, al contrario dell’idea comune secondo la quale gli immigrati gravano sulla spesa sociale nazionale, il saldo tra gettito fiscale e contributivo e spesa pubblica per l'immigrazione è positivo (+0,6 miliardi).
Ben lontani dal rubare il lavoro ai cittadini italiani, i lavoratori stranieri svolgono quelle mansioni che gli anglosassoni definiscono «dirty, dangerous and degrading» (sporche, pericolose e degradanti), quali badanti, collaboratrici domestiche, manovali e braccianti (Cfr. N.D. Coniglio, Aiutateci a casa nostra. Perché l'Italia ha bisogno degli immigrati, Laterza, 2019). Lavori spesso invisibili, che sopperiscono però alle carenze strutturali del nostro sistema di Welfare, in primis la cura di anziani e bambini, e ai nostri bisogni produttivi primari.
Questa consapevolezza potrebbe essere il punto di partenza per costruire una narrazione sul tema dell’immigrazione antagonista e competitiva con quella della destra. Avendo il coraggio di affermare che solo attraverso l’apertura di canali legali di ingresso commisurati alle reali esigenze economiche del Paese, e nel rispetto del diritto dell’essere umano a migrare in cerca di un futuro migliore, sarà possibile trasformare l’immigrazione in una opportunità reale di crescita economica e culturale.
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