L’integrazione degli immigrati rappresenta una questione fortemente politicizzata nei Paesi dell’Unione europea, non solo a livello nazionale ma anche, e sempre di più, a livello locale. La cosiddetta crisi dei rifugiati del 2015, infatti, è stata fronteggiata in molti Paesi con l’attuazione di programmi di accoglienza volti a redistribuire la presenza (e i costi) dei migranti a livello territoriale, con l’apertura di centri di accoglienza anche in comuni medio-piccoli e in aree rurali. Sei anni dopo, è tempo di interrogarsi sull’impatto di questi arrivi in località che, per le loro piccole dimensioni e minore attrattività rispetto alle grandi città, si sono trovate in molti casi per la prima volta a confrontarsi con le sfide dell’integrazione.

La rara letteratura scientifica esistente (si veda il numero monografico curato da A. Flamant, A. Fourot e A. Healy, L’accueil hors des grandes villes, «Revue européenne des migrations internationales», nn. 2-3/2020) suggerisce che l’accoglienza e l’integrazione in località di piccole e medie dimensioni e in aree rurali abbia avuto luci e ombre. I media hanno spesso enfatizzato gli episodi di protesta da parte della popolazione locale e gli scontri tra amministratori locali e governi nazionali. Nel 2016 un Rapporto della ong Lunaria censiva 210 casi di rifiuto all’accoglienza in piccoli centri in Italia, considerando sia dichiarazioni verbali da parte delle autorità locali contro la presenza di richiedenti asilo sia petizioni e manifestazioni di protesta vere e proprie. E tuttavia, le poche ricerche esistenti sull’integrazione dei richiedenti asilo in piccole località in diversi Paesi dell’Unione europea, Italia inclusa, sembrano indicare uno scenario più complesso.

L’arrivo dei migranti in territori spopolati ed economicamente marginali sembra aver rappresentato in molti casi una vera e propria opportunità di rinascita, in termini non solo demografici ma anche economici

L’arrivo dei migranti in territori spopolati ed economicamente marginali sembra aver rappresentato in molti casi una vera e propria opportunità di rinascita, in termini non solo demografici ma anche economici, con la rivitalizzazione di attività economiche abbandonate perché poco redditizie, dall’artigianato ai piccoli negozi di generi alimentari (cfr. F. Barbera e A. Membretti, Alla ricerca della distanza perduta. Rigenerare luoghi, persone e immaginari del riabitare alpino, «Archalp», 4/2020). Negli ultimi anni, l’Unione europea ha cercato di sostenere in vario modo questo tipo di processi virtuosi. Il progetto Cities and Regions for Integration Initiative, per esempio, promosso nel 2019 dal Comitato delle Regioni, ha proprio l’obiettivo di coinvolgere piccoli paesi, città medie e aree rurali in processi di scambio di buone pratiche in tema di integrazione degli immigrati. In maniera analoga, altri progetti finanziati dalla Commissione europea come PlurAlps e IncluCities cercano di favorire il confronto tra amministratori locali, rispettivamente, di aree montuose alpine e di città di medie dimensioni. Inoltre, nella Visione a lungo termine per le zone rurali, approvata nel luglio 2019 dalla Commissione, la migrazione viene esplicitamente menzionata come risorsa che può aumentare la resilienza dei territori non urbani e delle comunità.

È pertanto importante chiederci: perché alcune località rifiutano i migranti, considerandoli solo un costo e un aggravio, mentre altre sembrano voler cogliere le opportunità che l’arrivo di una popolazione giovane e desiderosa di integrarsi può portare alle comunità locali? E quali fattori possono favorire l’avvio di quei processi virtuosi di integrazione dei migranti e sviluppo economico locale che l’Unione europea sembra avere particolare interesse a sostenere?

Rispondere a queste domande appare quanto mai urgente di fronte alle sfide continue che la questione immigrazione – dalla crisi afgana alle tensioni ai confini con la Bielorussia – pone a Paesi europei sempre più arroccati su posizioni di chiusura a priori e ciononostante costretti a venire a patti con l’accoglienza di quanti riescono comunque ad arrivare. Al di là delle posizioni pessimistiche o entusiastiche che emergono dall’analisi di singole esperienze locali, è necessario identificare possibili scenari di integrazione a partire dai fattori che, a livello locale, possono incidere non solo sulle traiettorie di inserimento socio-economico dei migranti, ma anche sull’interazione sociale con la popolazione che vive sul territorio e sulla qualità di vita più in generale.

È proprio questo l’approccio del progetto Whole-COMM, Exploring the Integration of Post-2014 Migrants in Small and Medium-Seized Towns and Rural Areas from a Whole-of-Community Perspective, che si propone di studiare l’integrazione dei migranti in 49 località in 10 diversi Paesi, ossia Italia, Spagna, Germania, Austria, Olanda, Belgio, Svezia, Polonia, Turchia e Canada (cfr. Caponio e Pettrachin, 2021). Il progetto muove dall’idea che l’integrazione dei migranti in località di piccole e medie dimensioni non possa essere interpretata meramente come un costo o un’opportunità in sé, e che questa debba piuttosto essere studiata come un fenomeno che innesca processi di cambiamento delle comunità locali. Tali processi possono essere analizzati e compresi alla luce di una serie di fattori che, come diverse ricerche hanno suggerito, possono influenzare lo sviluppo delle politiche locali e i processi stessi di integrazione. Whole-COMM si sofferma, in particolare, sul contesto socioeconomico e socioculturale di ciascun territorio (cfr. Pastore e Ponzo, 2016; Åberg and Högman, 2015).

Due scenari opposti possono essere individuati in tal senso. Nelle «comunità marginali» processi di spopolamento e difficili condizioni socioeconomiche si accompagnano all’assenza di interazioni significative con i migranti prima del 2015. Nelle «comunità rivitalizzate», al contrario, tendenze più positive in termini demografici e di sviluppo economico si accompagnano a precedenti esperienze di integrazione o interazione con migranti arrivati prima del 2015. Ovviamente, tra questi due scenari opposti si collocano vari possibili scenari intermedi, in cui diversi livelli di svantaggio/sviluppo socioeconomico si incrociano con esperienze più o meno recenti di interazione con la diversità.

Il progetto si propone di analizzare come l’interazione dei diversi attori dia concretamente forma a politiche, pratiche e discorsi e come questi influenzino processi di mutamento delle comunità e le traiettorie dei migranti

Whole-COMM si propone di analizzare come l’interazione dei diversi attori che si mobilitano in ciascuno di questi scenari dia concretamente forma a politiche, pratiche e discorsi e come questi influenzino processi di mutamento delle comunità e le traiettorie dei migranti che qui si stabiliscono. Nelle località marginali è lecito aspettarsi un contesto decisamente avverso all’integrazione per il sovrapporsi di condizioni di scarsità di risorse economiche, spopolamento e isolamento socioculturale. Qui, il rischio di reazioni di rifiuto e opposizione all’immigrazione più o meno esplicite è particolarmente elevato, anche se non inevitabile. Alcune ricerche sembrano mettere in luce come, soprattutto nei contesti più piccoli, la mobilitazione di attori chiave all’interno della comunità possa giocare un ruolo determinante (cfr. Caponio et al., 2021). Può trattarsi di sindaci, come nel noto caso di Riace, o più in generale di attivisti dal basso che, a partire dal loro radicamento nel contesto locale, attivano risorse relazionali e reputazionali per coinvolgere la comunità in pratiche di accoglienza e integrazione. In altre parole, in località piccole e particolarmente svantaggiate, gli individui e le loro reti possono fare la differenza.

Nelle località rivitalizzate, invece, precedenti esperienze di immigrazione e la presenza sul territorio di istituzioni e/o organizzazioni già mobilitate a supporto dell’integrazione rappresentano precondizioni favorevoli per i nuovi arrivati, che possono potenzialmente facilitare percorsi di inserimento socioeconomico e interazioni con la popolazione locale. Qualora condizioni di relativo benessere economico non si accompagnino a precedenti esperienze di integrazione dei migranti, invece, è ragionevole aspettarsi un tessuto sociale meno preparato: qui, reazioni di rifiuto appaiono tutt’altro che improbabili. Ancora una volta, tuttavia, appare fondamentale fare luce su quali attori (politici e di società civile) si mobilitano nella comunità, come – se a supporto o contro l’accoglienza – e con quali risorse.

Come gli eventi degli ultimi anni hanno evidenziato, l’integrazione dei migranti in città medio-piccole e in aree rurali non si limita pertanto a un processo di adattamento reciproco, in cui ciascuno cerca di venire a patti con la diversità dell’altro, ma implica sfide più profonde che mettono in gioco il futuro delle comunità e il loro sviluppo sul lungo periodo. Guardare all’immigrazione come risorsa in quelle aree marginali dove condizioni di svantaggio economico e isolamento socioculturale lasciano poco spazio all’immaginazione di un futuro migliore non è semplice, e sicuramente lo è ancora meno nel contesto attuale, segnato dalla difficile ripresa dalla pandemia di Covid-19. Comprendere i meccanismi che possono favorire l’avvio di processi di interazione e scambio con la popolazione locale appare tuttavia quanto mai urgente e necessario.