Dopo il drastico calo indotto dalle restrizioni e dalle chiusure necessarie per contrastare la pandemia di Covid-19, gli arrivi di turisti stranieri nel Sud Europa sono tornati ai livelli pre-pandemia – uno sviluppo positivo visto l’ingente contributo del turismo alla crescita e all'occupazione nell'Europa meridionale. Tuttavia, l’ormai eccessiva dipendenza di questi Paesi dalle esportazioni di servizi turistici presenta insidie non trascurabili. Sulla base di un nostro recente articolo, ci preme dunque contestualizzare l’emergere di un vero e proprio modello di crescita nell’Europa meridionale "trainato" dalle esportazioni di servizi turistici all’interno del più ampio processo di integrazione economica e monetaria Europea (Uem).
Nonostante alcune differenze, Grecia, Italia, Spagna e Portogallo sono entrati nell'euro con un’eredità di modelli economici caratterizzati da alcune importanti similarità istituzionali: una crescente disparità delle tutele lavorative e dei diritti sociali, deboli sistemi di istruzione e formazione professionale, una marcata frammentazione dei gruppi di interesse e relazioni industriali conflittuali, incapaci di garantire stabilità e moderazione salariale alla stregua delle economie neo-corporativiste del nord Europa. Non sorprende che le strategie di produzione di questi Paesi fossero in gran parte basate sulla competitività di prezzo, sostenuta da svalutazioni concorrenziali, mentre lo Stato era solito svolgere un ruolo centrale nel governo dell’economia attraverso politiche fiscali anticicliche (spesso clientelistiche) e la politica industriale.
Questo modello economico è stato messo in crisi dall'avanzare del processo di integrazione europea. Da un lato, una più rigorosa applicazione del diritto della concorrenza e della normativa sugli aiuti di Stato nel mercato unico dell'Ue limita fortemente la capacità degli Stati europei di governare l’economia; dall’altro, l'Uem impedisce le svalutazioni competitive mentre il patto di stabilità riduce la manovrabilità delle politiche fiscali. Di conseguenza, in un mondo sempre più competitivo e globalizzato, le economie dell'Europa meridionale si sono ritrovate – per così dire – tra l’incudine e il martello: troppo costose e regolamentate per competere a ribasso con i Paesi emergenti (ad esempio i Brics) nel settore manifatturiero e sprovviste degli assetti istituzionali necessari per competere con i Paesi avanzati sulla base di innovazione e tecnologia nell’economia della conoscenza.
In un mondo sempre più competitivo e globalizzato, le economie dell'Europa meridionale si sono ritrovate tra l’incudine e il martello: troppo costose per competere a ribasso con i Paesi emergenti e sprovviste degli assetti istituzionali necessari per competere con i Paesi avanzati
Se però, da un lato, l'integrazione europea ha penalizzato fortemente il modello economico del sud Europa, dall’altro lo ha favorito creando i presupposti per l'espansione dell'industria turistica. Il processo di integrazione europea ha portato alla libera circolazione delle persone all'interno del territorio dell'Ue, ma soprattutto ha indotto la liberalizzazione dei mercati nazionali dell'aviazione – precedentemente protetti e monopolizzati da compagnie di linea statali – predisponendo la graduale istituzione del mercato unico europeo dell'aviazione. Queste modifiche normative hanno permesso un'espansione senza precedenti dell'industria del turismo all’interno dell'Ue, consentendo ai viaggiatori di raggiungere facilmente sempre più destinazioni turistiche a prezzi più bassi grazie al proliferare di compagnie aeree low cost.
Ma è solo dopo la grande crisi finanziaria del 2008 che si assiste, nell'Europa meridionale, all'istituzionalizzazione di un modello di crescita trainato dal turismo internazionale. Con la domanda interna strangolata dall'austerità fiscale e dai tagli salariali, i governi del sud Europa si sono dovuti ingegnare per stimolare crescita economica e occupazione attraverso le esportazioni nette, di fatto l’unica strategia di crescita compatibile con i vincoli imposti dall’Uem. Grazie al vantaggio comparato di cui l'Europa meridionale gode nel turismo – dovuto a condizioni climatiche, storico-culturali e geografiche – la crescita cosiddetta export-led, seppur limitata, è infine arrivata in larga parte grazie all'esportazione di servizi turistici ai viaggiatori del nord Europa e del Regno Unito, sempre più felici di affollare le spiagge e gli hotel dell’Europa del sud. Grecia e Portogallo – insieme a Spagna seppur in misura minore – hanno fatto registrare un marcato incremento del surplus commerciale legato al turismo internazionale (si veda figura 1). In Italia, a espandersi è stato in larga parte il turismo domestico. La mancanza di un ingente surplus commerciale turistico è sintomo di importanti debolezze strutturali del sistema turistico italiano e dell’incapacità del Paese di rimanere competitivo in un’industria sempre più professionale e competitiva a livello globale.
Nell’ultimo decennio, l'industria del turismo si è espansa fino a costituire una parte considerevole delle esportazioni dell'Europa meridionale (circa il 25% in media) e un fattore chiave per la crescita economica e la creazione di posti di lavoro. Basti pensare che le attività economiche legate al turismo rappresentano oggi circa il 15-20% del Pil, con un marcato aumento del contributo del turismo al Pil registrato tutti questi Paesi (figura 2, riquadro di sinistra). In particolare, in Grecia e in Portogallo, gli impiegati in imprese che dipendono direttamente o indirettamente dal turismo sono aumentati sensibilmente fino a costituire rispettivamente un quarto e un quinto della forza lavoro totale. Per quanto attiene Italia e Spagna, anche se in misura minore – vista la grandezza e maggiore diversificazione delle loro economie – circa il 15% della forza lavoro è impiegata in un'azienda legata al turismo, con un notevole incremento nell’ultimo decennio (figura 2, riquadro di destra).
La nostra ricerca mostra che, nel sud Europa, l’impressionante crescita del surplus commerciale legato al turismo internazionale è largamente dipesa da un costante aumento del turismo in entrata dal nord Europa e dal Regno Unito. Pertanto, il crollo della domanda interna in questi Paesi (dovuto all'austerità fiscale e alla svalutazione interna) è stato in parte compensato dall'importazione di domanda estera per servizi turistici. La crescita trainata dall’export di turismo ha dunque funzionato come palliativo, ma non può ritenersi la cura adeguata a risolvere i problemi strutturali che queste economie devono affrontare in un regime di cambi fissi all’interno di un’economia globale.
Nel sud Europa l’impressionante crescita del surplus commerciale legato al turismo internazionale è largamente dipesa da un costante aumento del turismo in entrata dal nord Europa e dal Regno Unito
Al contrario, un'eccessiva dipendenza dal turismo per la crescita comporta insidie sulle quali occorre riflettere tempestivamente. In primo luogo, il turismo incoraggia un processo di ristrutturazione economica incentrato su attività a basso valore aggiunto, caratterizzate da scarse competenze e bassa produttività, connesse a occupazione precaria e stagionale. Mentre i paesi del nord Europa si spostano gradualmente verso una produzione manufatturiera altamente qualificata e servizi di fascia alta, tale modello rende l'Europa meridionale strutturalmente dipendente da turisti stranieri e sempre più vulnerabile nei confronti di shock esogeni (come la pandemia di Covid-19). In secondo luogo, l'espansione globale dell'industria del turismo comporta una spietata concorrenza a ribasso dei Paesi in via di sviluppo, oggi facilmente raggiungibili con voli economici. Molti di questi Paesi hanno simili vantaggi comparati nel turismo, ma prezzi e standard di lavoro più bassi, minando ulteriormente le condizioni di lavoro nel settore turistico europeo. Terzo, ma non meno importante, le elevate emissioni di CO2 del settore turistico e il danno alle risorse naturali causato dallo sfruttamento eccessivo dei territori sono incompatibili con l’esigenza, ormai impellente, di contrastare il cambiamento climatico e garantire una maggiore tutela dell’ambiente.
In conclusione, non vi è dubbio che il turismo sia un'opportunità per il sud Europa. Al contempo, però, i governi dell'Europa meridionale non possono ignorare la necessità di diversificare le loro strategie di crescita – promuovendo la transizione verso servizi ad alto valore aggiunto nell’economia della conoscenza – e di investire nell’industria turistica per renderla socialmente inclusiva e più sostenibile.
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