A Capodanno sono stato in Tunisia. L’agenzia di viaggio ci ha portato in un hotel faraonico poco fuori Hammamet: cinque stelle per avere i servizi di un due stelle italiano. La tv locale sembrava quella italiana: parlava d’altro. Non si riusciva ad avere neanche i giornali tunisini in francese e in arabo, tutti controllati dal governo, figurarsi quelli italiani; quando chiedevo alla reception, i portieri cadevano dalle nuvole. Eppure, alcune cose non si poteva fare a meno di notarle. Le gigantografie del presidente Ben Alì in doppiopetto, ad esempio: da chi avrà imparato? Ma anche il consiglio ai turisti di girare in gruppo. Per paura della malavita? Macché, della polizia. Ben Alì è (era?) un ex poliziotto. Le guide turistiche del posto – laureati mediamente più colti dei gitanti italiani – si guardavano bene dal dire una parola sulla situazione politica. Unico accenno, i rapporti con l’Italia: ottimi, fra regimi di destra... E poi Ben Alì avrà anche avuto i suoi difetti, ma era sempre meglio dei vari Putin, Lukashenko, Gheddafi, Bouteflika e simili, pilastri della nostra politica estera. Altro accenno: la Fiat produce e vende in tutto il Nordafrica un modello, la Siena, che si guarda bene dal commercializzare in Europa o negli Stati Uniti. Oltre che per la sua politica estera miserabile, insomma, il nostro Paese è noto e apprezzato in tutto il mondo anche per la sua politica industriale stracciona.
Comunque, sembrava di essere in Italia: un uomo forte al potere, l’industria ridotta al turismo, la tv militarizzata. Certo, avrei dovuto cogliere alcuni segnali. Ad esempio, il turista che avesse voluto sfuggire all’inevitabile danza del ventre di Capodanno, avrebbe solo potuto rifugiarsi nei bagni, dove la radio diffondeva The times are changing del buon, vecchio Bob Dylan. Credevo ci irridessero: non sarebbe stata neppure la prima volta. E invece i tempi stavano davvero cambiando: nonostante l’assenza di qualsiasi opposizione organizzata, un regime personalistico che durava da ventitre anni è crollato dopo quindici giorni e un centinaio di morti. Naturalmente, niente di simile alla situazione italiana: a parte l’assenza dell’opposizione.
Eppure, potremmo trarre lo stesso alcuni insegnamenti da questa brutta storia: sia a Tunisi, sia a Roma. Dal lato tunisino, quando i morti stavano già oltre la cinquantina, Ben Alì ha chiuso le scuole superiori e le università. Chiaramente, avrebbe dovuto pensarci prima: perseguendo per tempo quello strangolamento dell’istruzione pubblica che sta riuscendo al duo Tremonti-Gelmini. Dal lato romano, forse potremmo persino cominciare a riflettere sulla nostra politica estera. Il ministro Franco Frattini che, dall’alto della sua abbronzatura da ex maestro di sci, condanna imparzialmente le violenze dei manifestanti e della polizia, ora dovrebbe almeno correggere il tiro: se posso usare questa infelice espressione. D’altronde, basta chiedere al suo sottosegretario: l’onorevole Stefania Craxi.
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