Cercando la rinascita. A un anno e mezzo dalla caduta del regime benalista, la Tunisia si trova ancora alle prese con una difficile ripresa economica. Sebbene il quadro socio-politico interno mostri segni di continuità con il recente passato, Tunisi sta cercando di riorganizzarsi e di avviare il rilancio del Paese, a cominciare dalla propria economia. La ripresa di settori considerati vitali – come il turismo, il terziario o l'agricoltura – e la capacità di attrarre importanti investimenti diretti esteri saranno le priorità del nuovo governo islamico di an-Nahda e daranno, dunque, la giusta misura del grado di cambiamento del Paese nordafricano. Al di là delle buone intenzioni e delle più rosee previsioni di organizzazioni e istituti finanziari internazionali, l'attuale stato di salute dell'economia nazionale tunisina non è molto positivo: il tasso di crescita del Pil non ha superato lo 0,2% nel 2011 (rispetto ai 4,5% del 2010); il tasso di disoccupazione supera il 18% (con quella giovanile che ha sfondato il 30% e quella femminile che rappresenta il 60%); l'inflazione ha raggiunto il 5% e circa un quarto della popolazione vive con meno di due dollari al giorno. Ma, più dei pessimi dati macroeconomici, è l’incertezza politica a rendere il Paese poco attraente per gli investitori stranieri. Basti pensare proprio al turismo, principale serbatoio lavorativo nazionale, mercato che rappresenta circa il 7% del Pil e che impiegava prima della crisi oltre 450.000 persone: secondo i dati diramati dall'Office national du tourisme tunisien (Ontt), nel 2011 il numero dei turisti è diminuito di oltre due milioni rispetto all'anno precedente (-33,3%), con perdite accertate intorno al miliardo di dollari.
Alla luce di un quadro generale piuttosto negativo, il governo sta dunque studiando le misure economiche atte a rilanciare la crescita: in particolare, l'introduzione di un sussidio di disoccupazione per i giovani diplomati, un forte piano di investimenti nel settore pubblico e una strategia volta a creare nuovi posti di lavoro hanno permesso al nuovo governo di prevedere un aumento del Pil per il prossimo anno intorno al 4,5%. Naturalmente tali interventi potranno avere attuazione anche e soprattutto con il sostegno degli aiuti internazionali. Ma perché i finanziamenti esteri vengano gestiti con efficienza e senza sprechi è necessaria una radicale trasformazione della società tunisina, combattendo le tradizionali pratiche di gestione dello Stato, fondate su corruzione e clientelismo, che hanno contribuito a rendere il Paese più vulnerabile da un punto di vista socio-economico.
Proprio per fronteggiare meglio queste emergenze nazionali, il governo si è impegnato in prima persona nella realizzazione di forme di governance che garantiscano il rispetto dei principi di trasparenza ed efficienza. Per rendere possibile tale programma sarà, dunque, necessario intervenire lì dove il precedente regime aveva costruito il suo potere: ristrutturazione del sistema bancario, ammodernamento delle infrastrutture locali, riforma del mercato del lavoro e snellimento della macchina burocratica statale. Condizione ultima e necessaria perché si attivi il cambiamento resta, però, il ritorno a una stabilità politica e sociale. Le premesse per un sostanziale mutamento interno, quindi, ci sono tutte. Ciò che è difficile prevedere sono i tempi di risposta al percorso che sembra essere stato intrapreso e l’effettivo completamento del rinnovamento dello Stato e della sua società.
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