L'autunno dei gelsomini? I risultati definitivi dello storico voto per l’Assemblea costituente in Tunisia arrivano la sera del 27 ottobre, cioè quattro giorni dopo la chiusura delle urne, “mentre il popolo già sta formando il governo” ironizza qualcuno. Se essi confermano un esito da tempo dato per scontato da tutti - la vittoria del partito islamico Ennadha - forniscono altresì non poche sorprese. Prima sorpresa: a buona distanza da Ennadha che si aggiudica il 41,5% dei seggi all’assemblea, il secondo partito (14%) è il Cpr (Congresso per la Repubblica) che ha stretto una inaspettata alleanza con Ennadha e di cui tutti sembrano conoscere assai meglio il leader (Marzouki, medico, socialista, oppositore di Ben Ali rifugiato in Francia) dei contenuti. Seconda sorpresa: si ridimensiona il blocco laico e liberale che doveva fare da contraltare al partito islamista: il Pdp (Partito Democratico Progressista), originariamente il grande favorito, non supera l’8% mentre il Pdm (Polo Democratico Modernista), ambiziosa coalizione formatasi intorno all’ex partito comunista Ettajdid raccoglie un misero 2%. Così al terzo posto sale invece Ettakatol (10%), partito di centro-sinistra che coniuga valori socialdemocratici e musulmani e non rifiuta a priori alleanze con Ennadha.
Ma la maggiore – e per molti sgraditissima sorpresa – è l’affermazione di un’altra sconosciutissima lista: Al Aridha Populaire (“Petizione popolare”). Si posiziona al quarto posto, ma i suoi 19 seggi (contro i 21 di Ettakatol)) sono ciò che resta dopo che sei delle sue liste sono state invalidate in altrettante circoscrizioni, ivi compresa quella di Sidi Bouzid dove Aridha aveva ottenuto il primo posto. Il prezzo di una decisione sofferta dell’Isie (l’integerrima e competente Istanza Superiore Indipendente per le Elezioni) è alto: disordini sono scoppiati a Sidi Bouzid, la città simbolo della rivoluzione, dove è stato imposto il coprifuoco mentre le violenze si estendono ad altri centri dell’interno. Di Al Aridha qualcuno aveva visto il programma – e aveva riso delle sue mirabolanti promesse (dal prezzo del pane a quello delle bollette, dalla sanità gratuita agli alloggi per giovani coppie) – ma in molti conoscevano soprattutto la rete televisiva del suo promotore, Hechmi Hemdi, un altro fuoriuscito che ha soggiornato a lungo a Londra. E colpisce l’affermazione del terzetto di leaders – Rached Ghannouchi, di Ennadha, Moncef Marzouki e Hechmi Hamdi – i quali malgrado posizioni assai differenti hanno in comune due cose: il lungo soggiorno in esilio a Londra o a Parigi e l’adesione ai valori islamici. Ma il successo di Al Aridha tocca un altro punto dolente: dove sono finiti i voti dei numerosissimi aderenti e simpatizzanti del Rcd, il partito di Ben Ali la cui ricostituzione era ovviamente vietata? Che siano stati attivamente convogliati su Al Aridha è più di un sospetto.
Tuttavia, al di là delle lotte e delle manovre in corso per la costruzione del modello politico e sociale post-rivoluzionario del paese, il voto del 23 ottobre offre elementi di lettura più strutturali e profondi. In primo luogo la Tunisia, a nove mesi dalla rivoluzione che ha dato inizio alla primavera araba, si è risvegliata araba e islamica: ma ciò non è né più né meno di quanto sta scritto nel primo articolo della sua attuale Costituzione, il quale recita che “la sua religione è l’islam, la sua lingua è l’arabo”. Un programma scritto con la conquista dell’indipendenza che – piaccia o non piaccia - sembra avviato alla sua realizzazione effettiva soltanto oggi, dopo l’era del laicismo filo-occidentale di Burghiba e quella dell’arabizzazione anti-islamica di Ben Ali. Se l’implementazione di questo programma verrà percepita e realizzata come qualcosa di strettamente connesso a quella di una effettiva democrazia o invece in contrapposizione ad essa è una questione tutta aperta. In secondo luogo la geografia politica del voto riflette la geografia economica, sociale e culturale del Paese e non soltanto quella religiosa. Riflette in particolare la frattura tra la Tunisia povera rurale del sud e dell’interno dove gli islamisti hanno avuto la maggiore affermazione e la Tunisia della capitale e delle città costiere sviluppate dove hanno raccolto voci formazioni laico-moderniste. Riflette altresì la persistenza di reti familiari e strutture tribali grazie alle quali il voto si è disperso tra una quindicina di liste con un solo seggio (oltre al gran numero di voti che è andato del tutto perduto tra le decine di liste indipendenti).
Infine, sul piano istituzionale della transizione democratica il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto a seconda dei punti di vista. Perché la verità è che malgrado gli slanci democratici, l’impegno militante e la mobilitazione della società civile per la campagna elettorale, malgrado le lunghe file ai seggi che hanno entusiasmato i giornalisti stranieri e gli osservatori internazionali, ha votato solo circa la metà degli aventi diritto – soprattutto, probabilmente, a causa della diffidenza o indifferenza alimentate da vent’anni di dittatura.. Ed è vero altresì che malgrado gli elogi per la macchina organizzativa del processo elettorale e la correttezza di coloro che l’hanno diretta essa ha fatto acqua da più parti come testimonia la lentezza con la quale sono arrivati i risultati e i numerosi ricorsi per infrazioni ai regolamenti. E tuttavia, date le condizioni di partenza – inesperienza, carenza di mezzi, fratture sociali e culturali, offerta sproporzionata di liste - lo si può considerare anche un piccolo miracolo.
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