Nel corso della sua lectio magistralis all’Università di Roma (si veda l’articolo di giovedì scorso di Simonetta Fiori su "Repubblica") Eugenio Scalfari ha individuato nel “presentismo” e cioè è nell’essere perennemente schiacciati sulla realtà del presente perdendo ogni memoria storica e ogni riferimento a un “sentimento del tempo che comincia nel passato” uno dei fattori principali del declino etico e culturale del nostro Paese. Il giorno dopo su tutti i giornali italiani troviamo l’immediato riscontro della teoria del “presentismo”. Il commissario europeo all’industria, il tedesco Gunther Verheugen, di fonte alla ventilata ipotesi di una possibile acquisizione della Opel da parte della Fiat, esprime qualche dubbio sulla solidità finanziaria della casa torinese nell’evidente timore di una invasione italica dell’industria automobilistica germanica.
Dichiarazione fuori luogo e inelegante che, giustamente, suscita la levata di scudi di politici e industriali italiani contro ogni protezionismo che, in nome degli interessi nazionali, blocca mercati e libera concorrenza.
Tornando indietro di qualche giorno, nella società del “presentismo” è già storia, i giornali italiani riportano la notizia di una norma, infilata dal governo nel Decreto incentivi, in base alla quale le società italiane potranno procedere all’acquisto di azioni propria in una percentuale (20%) esattamente doppia rispetto a quella consentita dalla previgente disciplina. Lo scopo, apertamente dichiarato, è quello di consentire il rafforzamento dei gruppi di controllo e scoraggiare le scalate ostili. Tanto è vero che sempre su "Repubblica" va in scena una dura polemica tra Massimo Giannini e Lamberto Cardia. Giannini accusa il presidente della Consob di aver favorito l’approvazione di un provvedimento che limita la contendibilità delle società quotate, privilegiando in particolare Mediaset. Cardia respinge sdegnosamente le accuse di legge ad personam, ma ribadisce che “nell’attuale contesto di crisi dei mercati finanziari, che offre grandi opportunità a chi abbia mezzi per investire (compresi i fondi sovrani o i capitali di illecita provenienza), ritengo che sia opportuno rafforzare gli strumenti di difesa delle società quotate, in particolare quelle di valenza strategica”.
Giovedì 22 "Milano finanza" pubblica un articolo ove si sostiene che la posizione di Mediaset risultava già sufficientemente forte con la precedente disciplina, ma viene presentata anche una tabella con l’indicazione di circa sessanta società che potrebbero usufruire della novità legislativa per blindarsi definitivamente.
Il risultato finale è semplice: da anni si parla della rigidità degli assetti di controllo delle nostre imprese, della scarsa cultura di mercato e del fatto che le rete di intrecci propretari fa sì che alla fine comandino sempre i soliti noti del nostro ingessatissimo capitalismo “relazionale”. Rassegnamoci: continueremo su questa strada. D’altronde, se si vogliono aprire le società, incrementando l’accesso alle risorse di mercato e incentivando gli investimenti, qualche rischio è necessario e i fondi sovrani non si possono chiamare a raccolta solo quando servono per tirare fuori dai guai.
La morale è che chi oggi si indigna contro il protezionista tedesco di turno, lo fa, come si suol dire, con una mano sola. E, a proposito di protezionismo, qualcuno ricorda le feroci polemiche sull’italianità del sistema bancario italiano, condite anche da noti strascichi giudiziari e istituzionali? A distanza di qualche anno, per molti questa è ormai archeologia, abbiamo oltre che un gruppo italiano divenuto uno dei maggiori operatori internazionali, una grande banca finita in mano ai francesi, un'altra acquistata prima dagli olandesi, poi dagli spagnoli che l’hanno rivenduta a lauto prezzo agli italiani. Quali sono le devastanti conseguenze di quella che era stata presentata come l’invasione degli Unni? Se, tornando a Scalfari, bisogna recuperare “il sentimento del tempo”, la conclusione è quasi banale: la concorrenza con regole severe di trasparenza e correttezza fa sempre bene a prescindere dalle bandiere nazionali. Ma noi, appunto, viviamo nell’epoca del “presentismo”.
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