Nei giorni scorsi è stato varato dal Consiglio dei ministri il d.l. cosiddetto “Election day”, che concede la possibilità ai sindaci nei comuni da 5 a 15 mila abitanti, già a partire dalle prossime e ormai imminenti elezioni locali, di ricandidarsi per la terza volta consecutiva. Il decreto legge, inoltre, abolisce il numero massimo di mandati servibili dal sindaco nei comuni piccolissimi (con popolazione inferiore ai 5 mila abitanti). Alcuni sostengono che ciò potrebbe portare a una maggiore stabilità e continuità nella gestione delle amministrazioni locali; altri temono che i principi democratici possano essere minati a favore del consolidamento di alcuni gruppi di potere. Si tratta di una questione molto dibattuta anche a livello accademico. Gli studi condotti nell’ambito delle scienze politiche e dell’economia possono fornire un’utile guida per ragionare sui pro e i contro di questi cambiamenti (che interessano circa il 90% comuni italiani), esaminandone le implicazioni sul sistema politico e sulla partecipazione civica, alla luce anche delle riforme passate sul term limit che hanno coinvolto le cariche elettive locali in Italia.
Innanzitutto, il limite al mandato può condurre alla rimozione di politici esperti, comportando la perdita di competenze preziose. Infatti, politici di lunga data spesso possiedono una profonda conoscenza delle questioni politiche, dei processi istituzionali e delle reti necessarie per garantire una governance efficace. In quest’ottica, estendere il mandato può favorire la continuità nella gestione, consentendo agli amministratori di completare i progetti avviati durante i mandati precedenti. Inoltre, minore è il numero di mandati per cui si può concorrere, più breve è il tempo a disposizione per sviluppare competenze su questioni specifiche e per attuare politiche tese al raggiungimento di obiettivi sul lungo termine (basti pensare allo sviluppo di certe infrastrutture, che spesso richiedono sforzi sostenuti per periodi prolungati). Un mandato in più può, quindi, tradursi in decisioni più informate e in buone strategie nel lungo periodo per lo sviluppo delle comunità.
Estendere il mandato può favorire la continuità nella gestione, consentendo agli amministratori di completare i progetti avviati
Vanno poi considerati gli effetti dell’estensione del numero di mandati che potrebbero manifestarsi sul comportamento dei politici. Secondo la teoria degli incentivi elettorali, gli amministratori non più rieleggibili non hanno grandi stimoli che possano indurli a fare scelte onerose per conto degli elettori e a impegnarsi nello svolgimento della loro attività, anche non cedendo a pressioni clientelari. Da questo punto di vista, estendere il numero di mandati significa rimandare il momento in cui ci sarà un basso incentivo a impegnarsi e in cui, non temendo più il giudizio degli elettori, i politici potrebbero essere più inclini alla corruzione.
Fin qui, quindi, dal punto di vista teorico solo vantaggi. Ma esiste ovviamente un’altra faccia della medaglia che mostra, invece, come l’estensione del mandato possa aumentare il rischio di corruzione anziché ridurlo. Infatti, nelle democrazie le attività corruttive richiedono una stretta conoscenza tra il funzionario pubblico che commette il reato e gli attori privati che corrompono, e tale connessione richiede tempo per potersi sviluppare. Inoltre, i potenziali corruttori sono più propensi a offrire tangenti quando la finestra temporale per ricevere favori è più ampia e permette opportunità di reiterazione.
Allo scopo di indagare empiricamente la relazione tra probabilità di corruzione e durata delle cariche politiche, un recente studio ha preso in esame le gare di appalto indette dai comuni italiani. I risultati mostrano che avere lo stesso sindaco al potere per un mandato ulteriore riduce il numero di offerenti che partecipano alle gare e aumenta il prezzo di aggiudicazione. In aggiunta, all’aumentare della permanenza in carica dello stesso sindaco aumenta la probabilità di ritardi nella consegna dei lavori, nonché la probabilità che l’appalto venga assegnato ripetutamente a un’impresa locale o alla stessa azienda.
I potenziali corruttori sono più propensi a offrire tangenti quando la finestra temporale per ricevere favori è più ampia e permette opportunità di reiterazione
La questione, tuttavia, va valutata non solo considerando il comportamento dei politici, ma anche la reazione degli elettori. La partecipazione elettorale è fondamentale per trasformare le opinioni individuali in azioni collettive, portando alla scelta di chi governerà e, di conseguenza, alle politiche che verranno messe in atto. Un ampio afflusso alle urne rafforza la legittimità degli eletti. Al contrario, una partecipazione limitata fa sì che gli eletti rappresentino in maniera parziale la comunità di riferimento e che le politiche adottate possano rispondere più facilmente agli interessi di un numero ristretto di elettori piuttosto che a quelli della maggioranza della popolazione. Questo aspetto assume particolare rilevanza in un contesto come quello italiano che, sebbene, almeno sino a un certo punto, possa vantare storicamente un alto tasso di partecipazione elettorale, recentemente ha subito un cambiamento di tendenza; evidente sia nelle elezioni regionali, dove dal 2015 al 2022 la partecipazione alle elezioni si è ridotta di circa 8 punti percentuali (dal 52,2% al 44,4%), sia nelle elezioni comunali, con una riduzione nello stesso periodo di 10 punti percentuali (dal 65% al 55%).
Da un punto di vista teorico, ancora una volta l’effetto atteso dalla maggiore permanenza in carica dei politici sulla decisione degli elettori di recarsi o meno alle urne non è chiaro. Da una parte, impedendo la rielezione di amministratori che hanno già servito più mandati, imporre un limite alla durata delle cariche politiche potrebbe scoraggiare la partecipazione al voto poiché agli elettori viene impedito di selezionare dei candidati competenti. D’altro lato, il vantaggio elettorale di cui tipicamente godono gli incumbent, derivante dalla riconoscibilità del loro nome, dalla rete di connessioni che sono riusciti a creare e dalla disponibilità di maggiori risorse, può costituire una formidabile barriera alla probabilità di successo degli sfidanti. Il risultato elettorale può così diventare più scontato creando un disincentivo alla partecipazione al voto.
Capire da che parte penda l’ago della bilancia è una questione che va indagata empiricamente. A tal proposito, l’Italia offre alcuni dati interessanti in quanto già nel 2014 la legge n. 56 ha permesso ai sindaci dei comuni con meno di 3 mila abitanti di ricandidarsi per un terzo mandato (estensione concessa ai comuni fino a 5 mila abitanti a partire dal 2022 con l’entrata in vigore della legge n. 35). L’introduzione di questa riforma costituisce un singolare esperimento che ci ha permesso di valutare il suo effetto sulla partecipazione al voto a livello locale. In particolare, analizzando la variazione intervenuta nella partecipazione alle urne prima/dopo la riforma del 2014 tra comuni sotto i 3 mila abitanti – dove al sindaco uscente era consentito di ricandidarsi per una terza volta consecutiva – e comuni con popolazione superiore ai 3 mila abitanti – dove il sindaco era soggetto al limite dei due mandati – il nostro studio mostra come l’estensione del limite al mandato alla carica di sindaco abbia ridotto di circa 5 punti percentuali l’affluenza alle urne nei comuni interessati dalla riforma. Un risultato coerente con quanto riscontrato anche in altri Paesi dove è stato possibile condurre analisi simili, come ad esempio il Portogallo, dove l’introduzione del limite al mandato nel 2013 ha avuto un effetto positivo sulla partecipazione elettorale.
In definitiva, l’evidenza disponibile sull’esperienza italiana mostra alcuni effetti nocivi derivanti dall’estensione del mandato sia sulla probabilità di corruzione sia sulla partecipazione elettorale. Non abbiamo certezza che tali evidenze siano generalizzabili, soprattutto nel caso della partecipazione elettorale, ai comuni più grandi, e che portino, quindi, a una risposta definitiva. Tuttavia, in mancanza di evidenze su effetti benefici sarebbe stato più apprezzabile un atteggiamento di prudenza. Non ci resta che aspettare e vedere se a trarne beneficio saranno davvero i cittadini.
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