L'Ucraina e la Siria viste dall'Iran. Sulle pagine di "Jam-e Jam", un giornale centrista, l'analista Mehdi Fazaeli prova a rispondere a una domanda fondamentale per i centri decisionali occidentali, ma pressoché assente dai media europei: perché l'Occidente in Ucraina è riuscito lì dove ha fallito in Siria? Fazaeli propone una risposta identificando due differenze, secondo lui, fondamentali fra Damasco e Kiev. Innanzitutto, ci sarebbe il fattore “popolo”. Di fronte alla contestazione, il presidente siriano Assad ha potuto mobilitare una parte importante della popolazione a suo favore. L'ormai ex presidente ucraino Janukovic, al contrario, sembrava pressoché solo a Kiev. Una seconda differenza, afferma Fazaeli, sarebbe stato il forte sostegno dalla Repubblica islamica ad Assad.
Il lettore occasionale del giornale sarebbe indotto a pensare che si tratti di una pseudo-analisi autocelebrativa in difesa dell'alleato strategico Assad. Scrivere queste parole a Teheran, però, non significa solamente criticare l'Occidente per la palese interferenza negli affari interni di questi Paesi o dubitare della legittimità democratica delle rivolte siriana e ucraina. Significa piuttosto posizionarsi dentro il dualismo dominando l'analisi strategica iraniana.
Questo dualismo strategico del mondo politico iraniano sembra oggi fondato su due elementi principali. In primis, c'è chiaramente la visione che si ha dell'Occidente. Un campo, a tendenza conservatrice – non esaustivo di tutti i conservatori e includendo anche altre tendenze politiche –, è profondamente critico verso l'azione internazionale dell'Occidente, destinata secondo questa prospettiva unicamente a mantenere o ristabilire l'egemonia occidentale nel mondo. L'altro campo, che ha più o meno apertamente celebrato la vittoria dell'opposizione ucraina, assume una visione più sfumata. Questo campo include giovani piuttosto ingenui che vedono nell'Occidente una fonte di salvezza, ma anche politici pragmatici in cerca dei benefici di una potenziale alleanza con l'Unione europea o gli Stati Uniti.
La visione dell'Occidente non è tuttavia l'unico fattore a determinare la scelta della chiave di lettura degli eventi internazionali. Rimane per esempio molto vivo il ricordo delle contestate elezioni presidenziali del 2009, quando, come la Siria e l'Ucraina oggi, l'Iran si era spaccato tra sostenitori e oppositori della rielezione di Ahmadinejad, con tanto di manifestazioni pro e contro. Quelli che si trovavano allora dalla parte della cosiddetta “ondata verde” riformista guardano generalmente con una certa simpatia le rivolte in altri Paesi e adottano un quadro di lettura fondato sui binomi democrazia/dittatura e popolo/Stato, spesso dimenticando o minimizzando la dimensione internazionale. Quelli invece che sostenevano allora la stabilità della Repubblica islamica, e quindi la presidenza di Ahmadinejad, insistono pesantemente sull'aspetto internazionale. Per loro l'azione internazionale dell'Occidente snatura facilmente le velleità democratiche di una popolazione, per farne uno strumento di “imperialismo occidentale”.
Sulla base di questi presupposti, ogni schieramento parla al “suo” pubblico utilizzando gli eventi internazionali per giustificare le sue posizioni in materia di politica interna, rafforzando così la distanza fra le due posizioni. Ad esempio, dopo avere temuto una guerra civile in Ucraina, il giornale riformista "Shargh" ha celebrato timidamente la fuga di Janukovic in prima pagina con il titolo Giorno arancione. Il riferimento ai “giorni verdi” organizzati da studenti contestatori del governo Ahmadinejad non può essere casuale.
Se la vittoria della rivoluzione di velluto in Ucraina ridicolizza l'affermazione di Hassan Beheshtipur, pubblicata a dicembre dal giornale conservatore "Vatan-e Emruz", sul fatto che l'era delle “rivoluzioni colorate” fosse passata, per i conservatori iraniani gli eventi in Siria e Ucraina provano invece il fondamento della strategia del governo iraniano nel 2009. Di fronte all'interferenza occidentale, puntando al cambio di regime, la repressione sarebbe stata fondamentale per evitare colpi di Stato. Come dimostra il caso ucraino, però, la repressione da sola non sarebbe bastata, donde l'importanza delle mobilitazioni di massa a favore della Repubblica islamica. La vittoria dell'opposizione ucraina dimostrerebbe, dunque, che i riformisti sottovalutavano il rischio per la Repubblica islamica.
Benché questo dualismo comporti rischi evidenti per l'unità nazionale, permette anche un dibattito contraddittorio, sebbene spesso sterile, su questioni internazionali che altrove costituirebbero l'oggetto di un'inquietante unanimità.
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