L’Honduras tra dittatura ed esodo di massa. Sono trascorsi tre anni da quando, il 2 marzo 2016, Berta Isabel Cáceres Flores, figura di primo piano nella storia dei diritti civili in Honduras, fu assassinata a sangue freddo. Questa donna di poco più di quarant’anni si era affermata come femminista in un Paese dove più del 90% dei femminicidi non vengono perseguiti; nel corso della sua esistenza aveva difeso con energia le terre e i fiumi sacri e ancestrali delle popolazioni indigene, e si era impegnata nella lotta contro la corruzione e l’impunità. Queste le sue parole prima di morire: “voi avete la pallottola, io ho la parola. La pallottola muore quando viene sparata, la parola vive fino a quando la si ripete”.
Oggi l’Honduras sta assistendo all’esodo di massa dei suoi figli. Fuggono dalla dittatura e al contempo dagli esiti nefasti di un regime coinvolto nel traffico di narcotici. Juan Orlando Hernández si è nominato “presidente” del Paese, rendendosi colpevole di alto tradimento della Costituzione, che vieta espressamente il rinnovo di quella carica. Invece di esser in prigione per questa violazione, Hernández esalta le virtù della democrazia nel contesto dell’Organizzazione degli Stati americani, invia “aiuti umanitari” al Venezuela mentre i suoi concittadini soffrono la fame (l’indice di povertà in Honduras è del 64%, a fronte del 33% del Venezuala) e fa comparire la propria immagine sul profilo Twitter della Drug Enforcement Administration statunitense. Un atto questo particolarmente provocatorio, perché il fratello di Hernández è attualmente detenuto dal Southern District of New York, detto “Sovereign District of New York” per il modo in cui persegue the rule of law in contrasto con le direttive di politica estera di Washington.
I giovani dell’Honduras sono calati in un’atmosfera che può essere descritta ricorrendo al neologismo americano gaslighting: le autorità perseguono sistematicamente nei loro confronti pratiche che danno alle vittime l’impressione di non potersi fidare neppure di se stessi; una situazione che ha portato a un tasso altissimo di suicidi tra loro. Al contempo, i fenomeni della violenza perpetrata sia tra bande sia al loro interno, un atteggiamento culturale ben disposto a tollerare lo stupro e la violenza domestica, il trauma collettivo delle costanti ostilità tra i Paesi dell’America centrale, inducono moltissimi a – come si suol dire – votare coi piedi. Si aggiunga che Hernández spesso lascia mano libera alle pratiche estrattive di compagnie statunitensi e canadesi su territori da tempo immemorabile abitati e gestiti da popolazioni indigene, senza la consapevolezza e il consenso delle famiglie locali, la cui resistenza viene brutalmente abbattuta.
Gli Stati Uniti hanno mancato di applicare le usuali regole relative al diritto d’asilo malgrado le evidenti crisi umanitarie sui loro confini, sopprimendo le iniziative di attivisti, obiettori di coscienza e operatori giuridici che tentano di far valere le norme sull’immigrazione. Solo per fare un esempio, è stato vietato di rifugiarsi negli States alla famiglia di una ragazza vittima di stupro per mano di una banda di Los Angeles, detta MS-13, i cui membri hanno minacciato d’ucciderla se fosse risultata incinta. A quel punto Jeff Sessions, l’allora attorney general nominato da Trump, ha escluso che la famiglia potesse ottenere asilo - come avrebbe potuto fare in precedenza -, in quanto “particolare gruppo sociale” fatto oggetto di minacce. Per suo conto, John Kelly, ex capo dello staff della Casa Bianca, ha dichiarato che la politica di “separazione familiare” dell’amministrazione Trump era stata espressamente intesa come un deterrente: “Nella grande maggioranza è gente di campagna” – ha dichairato Kelly alla radio. “Nei Paesi da cui provengono ci si aspetta dai più al massimo un’educazione elementare. Naturalmente non parlano inglese. E questo conta moltissimo: non parlano inglese, non si integrano facilmente. Non hanno skills”. Si potrebbe aggiungere che si sentono bersagliati. In quanto cittadini dell’Honduras, hanno la sensazione che gli Stati Uniti non sarebbero altrettanto disposti a violare le proprie leggi sull’asilo e le relative convenzioni internazionali se l’esodo fosse composto da individui di stirpe caucasica provenienti, ad esempio, dal Canada.
Pratiche e atteggiamenti doppiamente deprecabili e odiosi, considerando il pieno appoggio dell’attuale dittatura honduregna da parte del Dipartimento di Stato americano. Il regime di Hernández riceve infatti dagli Stati Uniti armamenti e addestramenti militari, offre sussidi a movimenti di carattere populistico a favore del regime, offendendo la maggioranza della popolazione dell’Honduras che non è disposta a mettere in vendita la propria dignità.
Spesso Hernández, che si proclama membro di sette cristiane di carattere evangelico, ricompensa l’appoggio che riceve dagli Stati Uniti dichiarando l’intenzione di spostare a Gerusalemme l’ambasciata dell’Honduras. Lo ha fatto anche poche settimane dopo la decisione statunitense di dichiarare validi i risultati delle elezioni tenute in Honduras nel 2017. Ciò era in contrasto con la decisione dell’Organization of American di esigere nuove elezioni, in vista delle pratiche fraudolente che le avevano inquinate e della proibizione costituzionale della rielezione del presidente.
Da parte sua, Israele mette gratuitamente a disposizione dell’Honduras armamenti di propria produzione. La struttura triangolare dei rapporti tra Stati Uniti, Honduras e Israele non può non far venire in mente la vicenda dell’Iran-Contras affair quando, durante la presidenza Reagan, gli Stati Uniti affidarono a Israele il compito di offrire all’Honduras vaste quantità di armamenti e di materiale militare per tenere sotto controllo movimenti politici in contrasto con la politica americana, soprattutto in Nicaragua ma anche in Honduras.
A pochi mesi dalla sua elezione, gli ordini impartiti ai militari da Hernández hanno portato all’uccisione di oltre 40 cittadini e all’imprigionamento di altri 15, ancora oggi in carcere. Subito prima di quella massiccia operazione repressiva il Regno Unito aveva messo a disposizione del governo dell’Honduras strumenti tecnici di spionaggio e sorveglianza.
Un attivista anonimo ha documentato in un video un episodio all’interno di quella operazione, a cui io stessa ho assistito. Il 20 gennaio 2018 don Anselmo Villareal, un anziano di Saba (Colon), stava attraversando una folla di cittadini intenti a protestare contro il governo per arrivare dall’altra parte della strada, quando venne colpito a morte. Un episodio che ha lasciato un’immagine indelebile nel mio cuore, come in tutti coloro che condividono il grande rispetto per gli anziani proprio della nostra cultura. La visione della vita che svaniva dagli occhi di don Anselmo quando ancora gridava “ayudenme” ha prodotto una sensazione collettiva di paura che soltanto ora comincia ad affievolirsi, ma che continua a indurre la fuga dal Paese dei suoi abitanti. Nel corso degli ultimi mesi ho lavorato intensamente insieme ad altri per istituire e finanziare una fondazione destinata a provvedere di rifugio, addestramento e appoggio sindacale a chi rientri da tentativi non riusciti di fuga, spesso in un contesto di dileggio e ostilità.
Non sono che una dei tanti honduregni impegnati nella lotta per negare a Hernández i poteri che ha usurpato. Abbiamo ripreso a protestare. Berta Cáceres vive tuttora: non è morta, si è moltiplicata, è una grande figura di riferimento, una guida ideale sul cui esempio una moltitudine di persone porta avanti la sua stessa lotta.
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