Urne ad alta tensione. Tra poco meno di un mese, il 14 gennaio 2012, la popolazione di Taiwan sarà chiamata a scegliere il nuovo presidente. L’esito è alquanto incerto e sembra ruotare attorno al confronto tra l’attuale presidente Ma – leader del partito del Kuomintang (KMT) – e il suo oppositore del Partito Democratico Progressista (PDP), Tsai Ing-wen. Il ruolo di terzo incomodo è rappresentato da James Soong, la cui candidatura è diventata ufficiale solo il 1° novembre, e che i sondaggi danno intorno al 10-15%. In base alle più recenti proiezioni, Soong starebbe prepotentemente erodendo consensi ad ambedue gli altri candidati, anche se probabilmente in maniera più pronunciata al presidente in carica. Queste elezioni non mancheranno di fornire interessanti indicazioni anche sul futuro dei rapporti sullo Stretto, innegabilmente migliorati con l’attuale presidenza taiwanese, durante la quale molteplici accordi di varia natura sono stati ratificati con la Repubblica Popolare Cinese, contribuendo di fatto all’allentamento della tensione tra i due attori.  

Nonostante Pechino per ora rimanga alla finestra, è chiaro che un’eventuale rielezione di Ma sarebbe l’ipotesi a lei più gradita. Ciò potrebbe spingere i cinesi a sondare la strada di una riunificazione con Taipei, pressando quest’ultima per l’avvio di colloqui votati ad appianare le sostanziali differenze politiche. D’altra parte, un secondo mandato di Ma potrebbe non imprimere alcun cambiamento sul fronte della riunificazione, anche se sarebbe utile a dare stabilità sullo Stretto, mettendo i cinesi nelle condizioni di potersi concentrare su altre importanti questioni interne e internazionali. Uno scenario di tal fatta, inoltre, darebbe continuità alla politica dello “sviluppo pacifico”, incrementando ulteriormente gli scambi culturali e ampliando la cooperazione economica. La vittoria del candidato del KMT potrebbe perfino costringere i cinesi a interrogarsi sull’eventualità di dare più ascolto alle richieste di Ma relative alla concessione di un maggiore spazio di manovra internazionale per Taiwan, all’avvio di forme di cooperazione economica tra Taiwan e altri Paesi e alla riduzione dell’arsenale cinese rivolto verso le coste taiwanesi.

L’eventuale successo della Tsai porrebbe invece una serie di problemi di altra natura, dato che la candidata progressista sarebbe restia ad accettare i due pilastri sui quali si basa la relazione con Pechino, e cioè il Consenso del 1992 – la formula che sancisce l’esistenza di un’Unica Cina lasciando però la definizione aperta all’interpretazione di ognuna delle due parti – e l’assoluta improponibilità dell’ipotesi indipendentista di Taiwan. Oltretutto, la fiducia che si nutre nella mainland nei confronti della Tsai è minima, visto che proprio lei era a capo dell’organo consultivo che nel 1999 – durante la presidenza di Lee Teng-hui – suggerì l’avvio di una speciale relazione “Stato-Stato” tra le due rive dello Stretto, mettendo Taipei e Pechino sostanzialmente allo stesso livello e in posizione antitetica, in barba al concetto di Unica Cina. Nell’ipotesi che Pechino e Taipei non riuscissero a trovare un punto di incontro nella regolazione dei propri rapporti, è possibile che l’interazione tra i due attori possa scemare, lasciando il posto, nel più catastrofico degli scenari, al riaffiorare di tensioni che caratterizzarono l’epoca di Chen Shui-bian, primo presidente esponente del PDP. Alcuni analisti cinesi hanno suggerito che una vittoria del PDP potrebbe rinfocolare i critici dello “sviluppo pacifico” del presidente Hu Jintao nei rapporti sullo Stretto, condizionando la posizione della leadership cinese entrante (la possibilità di un’azione militare nei confronti dell’isola è tuttavia esclusa da tutti gli osservatori).

Le prossime elezioni presidenziali taiwanesi assumono una valenza particolare anche per gli Stati Uniti, per i quali è fondamentale che la stabilità attorno allo Stretto non venga minacciata (come è avvenuto dalla metà degli anni Novanta fino al 2008). Per questo motivo Washington tiene una posizione ambigua: da una parte preferisce non interferire nelle elezioni presidenziali di Taiwan, ma al contempo insiste sulla necessità di Taipei di gestire i rapporti con Pechino in modo da minimizzare qualunque frizione limitando la possibilità di un conflitto armato. Il mantenimento di canali di comunicazione tra i due rivali sullo Stretto è ritenuto di massima importanza anche da Washington: un brusco allontanamento o una sospensione nel dialogo potrebbero condurre a conseguenze non auspicabili. A prescindere da chi risulterà eletto a gennaio, gli Stati Uniti manterranno verosimilmente strette relazioni con Taipei, continuando forse anche a fornire armi, nonostante questo tasto potrebbe essere fonte di sempre maggiore controversia tra gli attori in gioco.