Lei entra nella segreteria del Pci nel luglio del 1987, all’indomani di un risultato elettorale molto negativo. Quella segreteria segna un cambiamento generazionale: il segretario Alessandro Natta è affiancato da un vice, Achille Occhetto, e da un gruppo di «giovani» di cui, oltre a lei, facevano parte Livia Turco, Massimo D’Alema, Piero Fassino e Gianni Pellicani. Che situazione trovaste al vostro insediamento? Quali erano le questioni che avvertivate come più urgenti per il partito? Quali erano le spinte al rinnovamento e le resistenze, e da parte di quali ambienti o aree culturali?
Il risultato elettorale del 1987, prima ancora che negativo, fu simbolicamente significativo: si tornava esattamente alla percentuale del 1968. Un intero ciclo si chiudeva e un altro se ne doveva aprire; bisognava verificare se c’erano le risorse e la forza per farlo. Era il motivo essenziale che aveva indotto ad affiancare al segretario Natta un vicesegretario (Occhetto) e una segreteria che non comprendeva nessuno del gruppo dirigente «storico», quello che intorno a Berlinguer aveva retto il partito nei vent’anni precedenti.
I «giovani» componenti di quella segreteria non avevano posizioni e orientamenti identici, come risulterà chiaro nel corso del tempo e alla prova dei fatti. C’era, però, la comune consapevolezza che il Pci, dopo la conclusione dell’esperienza di «solidarietà nazionale» (1976-1979) e la conseguente archiviazione della strategia del «compromesso storico», era privo di una linea chiara per intervenire in modo efficace nella vita politica nazionale. La questione più urgente era, dunque, tentare di elaborarla.
Via via che fummo capaci di pensare e cercammo di mettere in atto scelte e proposte innovatrici – soprattutto quelle in risposta alla caduta del Muro di Berlino – si manifestarono, ovviamente, resistenze e critiche. Ma per tutta una prima fase l’atteggiamento verso quella inedita segreteria fu un misto di benevolenza, attesa e scetticismo da parte di tutto il partito, al vertice come alla base, al centro come in periferia.
[L'articolo completo pubblicato sul "Mulino" n. 5/19, pp. 813-819, è acquistabile qui]
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