Nel crescente spazio che il nostro Paese lascia alle lotterie sono arrivati nuovi giochi, come “Win for Life” o “Turista per Sempre”. Con essi arrivano nuove modalità di premi “tutto e subito”: una rendita mensile per qualche decina di anni che, a seconda della fortuna, può corrispondere a un ottimo stipendio, a una pensione o a loro integrazioni. Gli “esagerati” (Il Sole 24 Ore, 22.12.2009) che vedono troppo nero possono quindi dormire sonni tranquilli: il fortunato ora non corre il rischio di perdere il suo patrimonio contante nel giro di pochi anni per incapacità di gestirlo, come le statistiche sui pochi vincitori dicono. Ci pensa infatti la società dei giochi a morigerare il patrimonio dosandolo con equilibrio. Dal punto di vista matematico ed economico i nuovi giochi sono come gli altri (il Mulino, n. 6/2009): il costo della giocata diviso il premio è molto più grande della probabilità di vincere, le cifre giocate sono enormi e solo una piccola frazione viene distribuita in premi. Eppure quelle analogie nascondono delle differenze che non si lasciano ignorare a lungo anche se è prematuro trarre conclusioni. Per farlo sono indispensabili dati, di natura demografica e sociologica, la cui collezione è urgente e va sollecitata immediatamente. Per ora ci si può limitare a riflettere sul fenomeno lotterie, sulla loro crescita, sulle loro mutazioni naturali e sulle informazioni che tutto ciò fornisce sulla società che ne fa consumo.
Vediamo ad esempio che cosa accade negli Stati Uniti d’America: il "Win for Life" si trova in diversi Stati americani (almeno) dal 2006. Abbiamo copiato il nome, la sua eco kennedyana e il tipo di prodotto. Ma non la sostanza. In Georgia, per legge, la metà delle giocate è distribuita in vincite e il rimanente, a parte le spese di gestione, è integralmente investito nel campo dell’istruzione. L’intento è il potenziamento della cultura scientifica: dall’asilo all’università, con particolare attenzione alla formazione degli insegnanti di scuola superiore. Il criterio adottato per l’utilizzo dei proventi è razionale e per nulla populista: siccome la lotteria riflette un errore sistematico di natura scientifica il suo prodotto economico viene utilizzato proporzionalmente per curare quell’errore.
Ciò che emerge dalle rilevazioni statistiche e dagli studi compiuti sui dati statunitensi è questo: il "Win for Life" è stato un gioco latente fino al 2008, anno in cui è cresciuto a dismisura. Nello stesso periodo le lotterie tradizionali hanno iniziato a perdere una parte consistente dei loro introiti: sono diminuiti quelli che puntavano ai milioni di dollari mentre invece erano in crescita coloro che miravano a una rendita, mensile o settimanale. La coincidenza di quel periodo con la deflagrazione capillare dell’ultima crisi economica non è solo una constatazione immediata ma un fatto identificato in modo statisticamente robusto. Le lotterie parlano delle persone, dei loro timori e dei relativi contrappesi: desideri e sogni. Il giocatore che punta alla vincita secca e milionaria è un sognatore esotico, il suo desiderio è uscire dalla normalità e diventare ricco sfondato. Colui che gioca alla ricerca della rendita mensile persegue un obiettivo diverso: la normalità perduta o minacciata, la fiducia nel futuro. D'altronde, se ha perso il posto, è stato costretto ad abbassare tristemente il tiro dei suoi sogni.
Non abbiamo ancora i dati demografici sui nuovi giocatori, non sappiamo se a giocare siano pensionati o giovani precari, ma se è vero che il mercato dipinge fedelmente le aspirazioni e le paure è urgente capire perché le giocate al “Win for Life” siano state di centinaia di milioni di euro nel solo primo mese o perché stiano già comparendo lotterie con in palio posti di lavoro. In particolare non si può ignorare il legittimo dubbio che quei giochi celino un malessere come un placebo nasconde i sintomi e ostacola la presa di coscienza del problema, e una sua incisiva e ben fondata cura. Occorre riflettere soprattutto sulla responsabilità delle classi politiche (tutte) di un Paese in cui, con le lotterie, si compra a carissimo prezzo, sia economico che sociale, non solo l'illusione di arricchirsi senza lavorare ma di recente anche l’illusione di un reddito e di un futuro dignitoso, o peggio il miraggio di avere un posto di lavoro.
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