In Umbria il centrosinistra ha vinto e Catiuscia Marini è stata confermata alla guida della regione. Ma conviene ricordare le parole usate da Matteo Orfini, presidente Pd, appena terminato lo spoglio elettorale a commento del risultato finale umbro: “Non ci aspettavamo una partita così difficile”.
Tuttavia, nei mesi scorsi in Umbria qualche segnale che poteva far presagire “una partita difficile” non è mancato. Tutti, e per ragioni diverse, hanno bene in mente cosa è successo l’8 giugno 2014quando a Perugia (dove dal Dopoguerra aveva sempre governato la sinistra) vince un giovane candidato di Forza Italia, Andrea Romizi. Dopo la scossa di Perugia, quindi, le regionali sono state un banco di prova fondamentale per l’attuale classe dirigente del centrosinistra umbro. Un risultato finale tanto atteso e che ha detto che il centrosinistra (e la sua classe dirigente) ha retto e ha superato un esame duro. C’è però dell’altro: d’ora in avanti, anche alla luce di ciò che è successo l’8 giugno dello scorso anno, ogni competizione elettorale anche in Umbria sarà sofferta, combattuta e il risultato non sarà più così scontato. Per tutti, non solo per i politici, deve essere quindi chiara una cosa: il voto in Umbria non è più immobile. Non c’è più, o forse non è più così rilevante, il voto di appartenenza. La cosiddetta “subcultura rossa” è ormai un lontano ricordo. Una spiegazione? Noi proviamo a darne due.In primo luogo, le ragioni del voto degli umbri si sono laicizzate, ossia più libere dalle appartenenze e più legate alle sensazioni, agli interessi e alle paure della gente. In secondo luogo, l’esistenza di una cultura politica condivisa, uno dei punti di forza del Partito comunista, è stata sostituita nel centrosinistra, e in particolare nel Pd, da domande frammentate e particolaristiche. In grado, a volte, di trasformarsi in feroci lotte interne dai risvolti molto negativi, come ha dimostrato la perdita del comune di Perugia. Forse anche consapevole di questi mutamenti, il centrosinistra si è premurato di emanare una legge elettorale (definita dal «Corriere della Sera»: «Fatta a misura Pd») che scongiurasse il temuto doppio turno, dove l’anno scorso si era consumata la debacle perugina.
Alcuni risultati che emergono dalle regionali 2015 confermano quanto appena detto. Ad esempio, domenica scorsa c’è stato un crollo dei votanti. Alle regionali del 2005 (vinte dallo schieramento centrosinistra guidato da Maria Rita Lorenzetti) i votanti furono il 74%, a quelle del 2010 (vinte dallo schieramento centrosinistra guidato per la prima volta da Catiuscia Marini) il 65%, a quelle di domenica scorsa sono stati il 55%. In dieci anni si sono persi circa 20 punti percentuali: un’enormità. Un altro dato: i candidati che si sono contesi la poltrona di presidente della regione sono stati otto e le liste sedici. Nel 2010 erano soltanto tre i candidati alla presidenza e le liste otto. Siamo di fronte a quello che Piergiorgio Corbetta ha definito “neofeudalizzazione della politica”: la perdita di controllo del centro sulle periferie ha determinato una proliferazione di candidati e di liste che li sostengono, perché legati ad apparati locali che agiscono indipendentemente dai partiti.
Altro dato. Catiuscia Marini vince con il 43% contro il 39% di Claudio Ricci (candidato del centrodestra): quattro punti percentuali che rappresentano la vittoria più risicata della storia della sinistra umbra dal 1970, cioè da quando sono nate le regioni. Nel 2010 la forbice era di circa 20 punti. Un voto bulgaro che oggi non c’è più, che sta a significare come qualsiasi rendita di posizione per il centrosinistra sia ormai erosa. Non a caso i due capoluoghi di provincia sono spaccati esattamente in due: a Terni sia Marini che Ricci sono al 38%, mentre a Perugia Marini ha superato di una manciata di voti Ricci.
E i singoli partiti? Il vero boom in Umbria l’ha fatto la Lega, che passa dal 4% del 2010 al 14% diventando il primo partito del centrodestra. Nel 2010 entrò in consiglio regionale per la prima volta un leghista e questo risultato venne spiegato da molti come conseguenza di un voto di protesta. Oggi il boom della Lega non può essere letto alla stessa maniera, anzi un simile risultato mostra la centralità anche in Umbria del tema “sicurezza-immigrazione”. Il Movimento 5 Stelle perde, e non di poco, e a dirlo sono i numeri. Alle politiche del 2013 ha ottenuto in Umbria il 25%, alle amministrative 2014 il 20% e alle regionali di domenica il 14%.
Il Partito democratico tiene abbastanza bene se confrontiamo il risultato delle regionali 2010 con quelle 2015: dal 36% passa al 35%. Però la vera curiosità è un’altra. Nel 2010 il Pd eleggeva otto consiglieri oggi dieci, anche se i componenti del consiglio regionale passano da 30 a 20. Com’è possibile un simile risultato? In Umbria il Pd ha cannibalizzato il centrosinistra. Se 5 anni fa la Presidente Marini poteva contare su una coalizione (composta da Italia dei valori, Rifondazione comunista, Socialisti e Sinistra e libertà) che portava in dote circa il 21%, i partiti facenti parte della coalizione odierna (Socialisti e Sel e Lista civica) hanno ottenuto un più modesto 6%. Un altro elemento che i dirigenti democratici dovranno tenere presente: saranno sempre più soli a difendere quello che rimane della “Regione rossa”.
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