Una supremazia confermata. Il 13 e 27 aprile si sono svolte in Macedonia le consultazioni per l’elezione del presidente della Repubblica, il quinto dall’indipendenza del Paese dalla Jugoslavia, nel settembre 1991. Il secondo turno delle elezioni presidenziali si è svolto in concomitanza con le elezioni parlamentari anticipate.
Le elezioni hanno confermato il bipolarismo de facto del sistema politico macedone. Nonostante l’elevato numero di partiti formatisi in Macedonia a partire dall’inizio degli anni Novanta, due sono i soggetti che da 23 anni si contendono il voto: VMRO-DPMNE (Organizzazione rivoluzionaria interna macedone/ Partito democratico per l’unità nazionale) e SDSM (Alleanza socialdemocratica della Macedonia). Al termine del primo turno elettorale, il candidato di VMRO-DPMNE, il presidente in carica Gjorge Ivanov, e il candidato di SDSM, Stevo Pendarovki, sono passati al ballottaggio con un distacco nettissimo rispetto agli altri due candidati in corsa, Zoran Popovski di GROM (Alleanza dei cittadini per la Macedonia) e Iljaz Halimi di DPA (Partito democratico degli albanesi). Ivanov ha ottenuto il 51,69% dei voti, mentre Pendarosvki il 37,51%. A netta distanza seguono, in ordine, Halimi con il 4,48% e Popovski con il 3,61%.
Il vantaggio raggiunto da Ivanov al primo turno è stato mantenuto anche nella seconda tornata elettorale del 27 aprile. Grazie al 55,28% dei consensi, a fronte del 41,14% di Pendarovski, l’attuale presidente manterrà la guida del Paese fino al 2019.
La supremazia di VMRO-DPMNE è stata altresì confermata dai risultati delle elezioni parlamentari anticipate. Il leader di centrodestra, Nikola Gruevski, ha ottenuto una vittoria significativa che gli garantisce la rielezione alla guida dell’esecutivo. SDSM ha invece dimostrato di non avere ancora gli strumenti politici ed economici necessari per riprendere la guida del Paese (abbandonata nel 2006).
Seppur forte dei 61 seggi ottenuti (su di un totale di 123 a disposizione), VMRO-DPMNE dovrà formare una colazione post-elettorale in Parlamento. Come da consuetudine sin dalla stipula dell’Ohrid Framework Agreement (OFA) nell’agosto 2001, tale coalizione verrà composta da un partito macedone e un partito albanese, nel rispetto della coabitazione multi-etnica nel Paese. Occorre sottolineare che tale prassi trova origine nelle scelte dei partiti politici e non è in alcun modo imposta dell’accordo di pace. Allo stesso modo, la scelta del partito con il quale VMRO-DPMNE verrà a costituire la coalizione di governo è dettata meramente da scelte politiche e non è determinata dal risultato ottenuto dai partiti albanesi alle urne.
Questi i risultati al termine dello spoglio dei voti: VMRO-DPMNE – 42,97%; SDSM – 25.34%; DUI – 13,71%; DPA – 5,92%.
Sarà molto probabilmente DUI (Unione democratica per l’integrazione) ad affiancare di nuovo VMRO-DPMNE alla guida dell’esecutivo, nonostante sia stato proprio questo partito a causare la crisi di governo che ha portato alle elezioni anticipate. La crisi di governo è stata causata dalla richiesta di nominare un candidato alla carica di presidente che potesse rappresentare tutti i cittadini della Macedonia, alludendo in particolare alle comunità macedone e albanese. Poiché la richiesta è stata rigettata da VMRO-DPMNE, DUI ha dapprima causato la crisi di governo e quindi promosso il boicottaggio delle elezioni presidenziali con lo scopo di impedire il raggiungimento della soglia necessaria del 40% di votanti al secondo turno e così invalidare il voto.
La decisione di Gruevski di formare una nuova coalizione di governo con DUI implica una serie di rischi politici. Sul tavolo delle trattative vi è anche la richiesta di DUI di eleggere un proprio membro alla carica di portavoce del Parlamento dandogli la possibilità di parlare in albanese (per la quale servirebbe un emendamento alla legislazione esistente).
La difficile situazione economica, l’altissimo grado di disoccupazione e il crescente malcontento sociale impongono un forte pragmatismo politico. Tale situazione è ulteriormente aggravata dal difficile funzionamento di una società divisa e dall’incapacità della Macedonia di risolvere i turbolenti rapporti di vicinato con la Grecia (riassunti nella ben nota Questione del nome) e di raggiungere la tanto agognata integrazione Euro-atlantica.
La fragilità del sistema paese va di pari passo con una profonda crisi democratica. In primo luogo si evidenza l’incapacità del sistema politico macedone di garantire alternanza al potere. Gruevski svolge la carica di Primo ministro dal 2006, per un totale di 8 anni – che diventeranno 12 qualora il governo riuscisse a completare la legislatura. A ciò si aggiungono le critiche da parte degli organismi internazionali chiamati a monitorare lo svolgimento delle elezioni. Sebbene non si siano verificati incidenti o particolari irregolarità nei giorni delle votazioni, gli osservatori hanno evidenziato anomalie nella copertura della campagna elettorale da parte dei media e, in generale, nell’uso delle risorse statali. La campagna elettorale è stata quindi caratterizzata da continui attacchi su base personale e dall’uso di una forte retorica etno-nazionale nei discorsi promossi dai diversi candidati. Ben più grave è invece l’utilizzo di diverse forme di intimidazione da parte delle autorità statali, soprattutto nei confronti degli impiegati pubblici.
Il quadro è tutt’altro che roseo. Tanti sono i nodi che la Repubblica di Macedonia deve sciogliere se vuole rimanere legata al gruppo dei paesi balcanici che stanno correndo verso l’Europa. Ciò nel rispetto delle impellenti necessità economiche ma anche, e soprattutto, del buon governo e dello stato di diritto.
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