Questa estate non sarà una estate tranquilla e serena per chi ha a cuore le sorti del nostro Paese e quelle del mondo intero. Basterebbe ricordare le carestie che stanno drammaticamente colpendo intere popolazioni dell’Africa troppo trascurate dai media e dalle tv, anche quella di Stato, che non è più da tempo servizio pubblico. Oppure i massacri che stanno avvenendo in Siria, relegati in pagine interne e con scarso rilievo nei giornali e telegiornali nazionali. O, ancora, quanto sta accadendo sulle nostre coste, dove gli sbarchi degli immigrati continuano a rendere evidente, anche con morti, più o meno giovani, nascosti nelle stive di imbarcazioni persino inadatte a galleggiare, il dramma di intere popolazioni e di umanità disperate.
Se la parte povera del mondo è in difficoltà, anche quella ricca, a partire da chi da tempo ne detiene la leadership, gli Stati Uniti, sta dando segni crescenti di debolezza.
Nel nostro Paese la consapevolezza sembra ancora scarsa, relativamente alla gravità dei problemi, nati da una preoccupante congiunzione di crisi economica, perdita di credibilità politico-istituzionale e vero e proprio malaffare. Torna alla mente il 1991-92 con l’ultimo governo Andreotti (insediatosi il 12 aprile 1991, si dimise il 24 aprile 1992) incapace di ogni iniziativa a fronte di un debito pubblico che viaggiava verso il 110% del Pil ed uno spread tra Bund tedesco e Btp decennale prossimo ai 500 punti base. Nacque allora anche Tangentopoli.
L’atteso discorso del premier Berlusconi di mercoledì 3 agosto, dopo un lungo periodo di assenza e silenzio, avrebbe dovuto e potuto portare segnali di fiducia e soprattutto azioni concrete a sostengo della necessaria inversione di rotta. Ma è vero che la sfiducia di fatto di Berlusconi nei confronti del suo ministro del tesoro Tremonti ha accresciuto la sfiducia dei mercati finanziari internazionali sulla capacità del governo di affrontare la crisi.A leggere i giornali del giorno dopo, l’imbarcazione Italia sembra essere sempre più alla deriva, priva di quel governo tanto più necessario quanto più difficili si fanno le congiunzioni da perfect storm in cui sembra essere avvitato il nostro Paese. Stefano Folli, sul “Sole - 24 Ore” del 4 agosto scorso, ha rievocato l’ironica frase di Bertold Brecht secondo cui “se il comunismo non va bene per il popolo, bisogna cambiare il popolo” per sottolineare la sintesi di fondo del discorso di Berlusconi, che “ha quasi detto in sostanza: se i mercati non vanno bene per l’Italia, bisogna cambiare i mercati”. L’orgogliosa affermazione in Parlamento del premier “sono un imprenditore che conosce i mercati e che investirebbe nelle sue aziende”, oltre a rendere palese la situazione di conflitto di interesse, instilla il dubbio negli operatori finanziari che prima di pensare al Paese il premier pensi alle sue aziende.
Peccato che siano i mercati a decidere quanto e dove investire, e a determinare, ad esempio, quello spread fra titoli pubblici italiani e Bund tedeschi che ha quasi raggiunto i 400 punti base e che rischia di condurre l’Italia a una situazione di crescente impossibilità di aggiustamento dei conti pubblici e ripresa della crescita economica. Gli interessi da pagare sui titoli del debito pubblico crescono non tanto per non ben definiti attacchi speculativi, quanto perché, nonostante le ripetute manovre del governo, i mercati non ritengono sufficientemente credibili le politiche adottate, con riferimento sia alla riduzione del disavanzo, soprattutto via contenimento della spesa, sia alle misure per rilanciare la crescita e lo sviluppo economico (si vedano, ad esempio, il recente “decreto sviluppo” n. 70 del maggio 2011, che al di là di alcuni incentivi, contiene ben poche misure in grado di rilanciare la crescita e la produttività, e l’ultimo decreto del governo, n. 98 del luglio 2011, che, nonostante gli annunci, prevede più aumenti delle entrate che tagli di spesa). La crescita dei tassi aumenta il disavanzo e rende necessarie misure sempre più stringenti che rischiano, se non ben congegnate, di penalizzare ancor di più la crescita e rendere velleitari gli stessi obiettivi di riduzione del rapporto disavanzo/Pil e debito/Pil. Ciò, a sua volta, alimenta rischi ulteriori di perdita di credibilità e conseguenti aumenti dello spread fra tassi. Come ricorda anche Francesco Daveri in questi giorni, l’aumento dello spread Btp-Bund di agosto 2011 comporta un aumento per oneri per interessi di circa 2 miliardi di euro nel secondo semestre dell’anno, che si aggiunge ai 70 miliardi che già paghiamo a questo titolo. La situazione è ancora governabile, ma, sottolinea ancora Daveri, le condizioni per evitare che “la palla di neve del deficit” diventi “una valanga” sono sempre più stringenti.
Si invocano le riforme a “costo zero”: liberalizzazioni, riduzione del grado di monopolio delle public utilities, rottura del duopolio tra Rai e Mediaset, conveniente ad entrambe e ai loro giornalisti ecc. Ma queste sono quelle politicamente più difficile da adottare in quanto muterebbero i rapporti di forza tra le diverse corporazioni e tra le forze annidiate nei privilegi.
Per questo, anche dopo il discorso di Berlusconi alle Camere, non possiamo permetterci di dormire sonni tranquilli sotto l’ombrellone.
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