Dopo il referendum greco ricomincerà il confronto, ma senza Europa federale la tragedia è inevitabile. In queste ore il popolo greco sta decidendo se aderire alle proposte di compromesso dell’Unione Europea o se rifiutarle. La scelta fra il sì e il no è certamente importante per le sorti del governo greco e per i rapporti di forza che si verranno a stabilire nelle trattative successive. L’Unione europea è infatti decisa a sbarazzarsi di Tsipras entrando a piedi pari nella campagna elettorale,
mentre l’attuale governo greco vuole rafforzare con un no la sua capacità contrattuale.
Tuttavia, a differenza di tanti altri osservatori, pur ritenendo che il voto di oggi sia molto importante, penso che le trattative con la Grecia andranno avanti in ogni caso e che si arriverà forzatamente ad un compromesso, anche se sarà un brutto compromesso, destinato più a rinviare i problemi che a risolverli. Tuttavia un compromesso ci sarà e il referendum è destinato a stabilire soltanto i relativi punti di forza e di debolezza della necessaria trattativa.
Questo perché un prolungato danno all’economia e alla politica europea si è già consumato e nessuno al mondo ha interesse a che il danno si trasformi in tragedia. Non ne hanno interesse i leader mondiali, a cominciare da Obama e Xi Jinping, perché hanno paura che uno sfaldamento progressivo dell’Euro provochi una nuova tempesta in tutto il sistema economico e politico mondiale. Non ne hanno interesse i leader europei perché non vi è tra di loro nessun accordo e nessuna idea di quello che potrebbe capitare dopo. La stessa cancelliera Merkel, che sta progressivamente accorpando su di sé tutte le grandi decisioni dell’Unione, viene da un lato strattonata dalla Csu bavarese che, per bocca del ministro delle finanze Schäuble, ripete a gran voce che, cacciando dall’Euro la Grecia, tutti i problemi futuri dell’Europa sarebbero risolti. Da un altro lato tuttavia la Cancelliera non può non tenere conto di un invito ad una minore rigidità che le viene dalle Istituzioni europee, da altri paesi dell’Unione e soprattutto dal presidente Obama che, negli ultimi tempi, ha attivamente rafforzato, con il sigillo americano, la leadership tedesca in tutti i grandi eventi che hanno coinvolto l’Europa, a cominciare dalla crisi Ucraina.
La settimana che abbiamo alle spalle è molto significativa in materia perché, appena il presidente francese Hollande ha accennato ad una possibile trattativa allo scopo di sdrammatizzare il referendum, da parte tedesca si è subito concluso che non era il caso di parlare con i greci prima dei risultati delle urne. A questo punto nessun altro leader ha aperto bocca perché, nella fase storica in cui siamo, si può dire che “Berlino locuta causa finita.”
È bene dire che tutto ciò è avvenuto non per l’arroganza teutonica: oggi la Germania è forte per il combinato disposto fra le sue grandi virtù e le altrettanto grandi debolezze altrui. Una Francia indebolita dalle tensioni interne, una Gran Bretagna che è indecisa se sarà in futuro membro del club europeo e gli altri paesi che, anche nel caso greco, non sono in grado di fare sentire la propria voce.
Dopo il vano sforzo dell’improvvisata Troika, uno sforzo che ha solo permesso di rinviare la soluzione, il problema greco, tolto dalle mani delle istituzioni europee, è prima entrato nella competenza dei governi nazionali e si è infine tradotto in un confronto esclusivo fra i politici tedeschi e quelli greci. Con una dialettica che ha alternato, da entrambi i lati, momenti di autentica drammaticità a episodi di spinta volgarità.
Da domani comincerà quindi un nuovo confronto che, per i motivi che ho esposto, dovrà arrivare per forza a un compromesso.
Deve essere tuttavia ben chiaro che, se accanto a questo tavolo di trattative, non se ne aprirà uno nuovo e molto più importante sul futuro dell’Europa e sul rafforzamento delle sue istituzioni, casi di questo genere si susseguiranno fino alla distruzione del disegno europeo, che pure è stato l’unico grande laboratorio di innovazione politica dopo la seconda guerra mondiale.
Le cose sono andate così avanti che non bastano piccoli rimedi. La globalizzazione ci pone davanti a un’alternativa ben chiara: o costruiamo un’autentica autorità federale o le forze nazionali, che sono diventate del tutto dominanti rispetto alle istituzioni europee, ridurranno di nuovo l’Europa a pezzi.
Il caso greco è solo una delle manifestazioni di questa crisi europea: non vi è più alcun capitolo importante nel quale gli organismi sovranazionali impongano la loro autorità sulle politiche nazionali che, ovviamente, non possono che essere dominate dagli interessi di politica interna.
Questa infinita disputa ha costituito soltanto il laboratorio nel quale si sono susseguite tutte le possibili sperimentazioni per affrontare un problema che può essere risolto in modo pacifico e condiviso solo con regole condivise, perché imposte da una autentica autorità federale.
Per tutte le ragioni che ho esposto in precedenza il caso greco non si concluderà quindi in una tragedia ma, se non si costruirà presto un’Europa federale, l’arrivo della tragedia è inevitabile.
Non si può più fingere di andare avanti insieme senza avere regole ed istituzioni capaci di tenerci insieme. Oggi le istituzioni europee non lo sono: se non ci affrettiamo a riprendere il filo dell’interrotta costruzione europea che parta da una nuova costituzione non avremo alcuna speranza di affrontare i nuovi casi greci che, nella sua imprevedibilità, la storia inevitabilmente ci presenterà.
[Questo articolo di Romano Prodi è uscito su «Il Messaggero» del 5 luglio 2015]
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