È sempre utile l’analisi comparata. A volte rassicura, mostrando che altrove le cose non vanno tanto meglio. A volte però lancia segnali d’allarme, cui non dovremmo restare indifferenti ma che nella maggior parte dei casi, invece, tendiamo a ignorare. Basta una semplice tabella, anche eccessivamente semplificata, per dare conto di situazioni allarmanti o per mettere in luce tendenze più o meno negative.
Che si tratti di dati comparati o invece di rilevazioni nazionali non affiancate ai dati di altri Paesi, non c’è dubbio che di numeri e di percentuali ne abbiamo in abbondanza. Tra indagini periodiche, rapporti, relazioni e via di questo passo, ogni anno la statistica e l’economia, la sociologia e la scienza politica ci mettono a disposizione una miriade di informazioni. Su cui, appunto, dovremmo riflettere. Prendiamo il caso degli ultimi cinque anni, periodo nel quale in Italia si sono succeduti tre governi e in Europa abbiamo
assistito a elezioni importanti con conseguenti cambi di direzione nelle diverse politiche governative. In questo periodo (ma potremmo andare ben più indietro nel tempo), dalle indagini multiscopo dell’Istat, ai rapporti periodici prodotti dall’Ufficio Studi della Banca d’Italia, alle relazioni di molti altri istituti di ricerca uscivano ritratti a dir poco preoccupanti dello stato economico di molte famiglie italiane. Eppure c’è voluto il «grande sboom»: c’è stato bisogno di un rallentamento globale dell’economia, di un rumoroso e catastrofico crollo delle borse, di una sensibile discesa dei principali indici economici per mettere in primo piano anche la crisi che tocca i portafogli delle famiglie. Pesantemente indebitatesi negli anni dei mutui concessi con disinvoltura, allora, e senza alcuna possibilità di risparmio, ora, le famiglie «medie», vale a dire milioni di famiglie italiane, sono in grave difficoltà.
Viene da chiedersi a che cosa siano serviti i tanti studi sulla povertà e sull’esclusione sociale, le relazioni sulla situazione sociale del Paese, insomma il lavoro di molti bravi e seri ricercatori. Chi li legge? Chi ne trae le conseguenze? Forse chi elabora e mette in pratica l’azione di governo non ci aveva fatto caso.
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