Una sorpresa nella "Svizzera del Centro America". Lo scorso 2 febbraio si sono svolte in Costa Rica le elezioni presidenziali: ogni quattro anni la popolazione di questo piccolo Paese del Centro America, che conta circa 4 milioni e 700.000 abitanti, è chiamata alle urne per scegliere il suo leader politico con un sistema maggioritario a doppio turno, il quale assegna la vittoria al candidato che ottenga il 40% delle preferenze alla prima tornata. Dal processo elettorale, sorvegliato dal Tribunal Supremo de Elecciones (istituito con la Costituzione vigente del 1949 per garantire trasparenza e regolarità alla campagna elettorale e alle operazioni di voto), risulta un inatteso testa a testa tra il candidato del Partido de Acción Ciudana, Luis Guillermo Solís, storico, professore universitario e preside della Facoltà di Scienze sociali dell’Universidad de Costa Rica, e Johnny Araya del Partido Liberación Nacional, ex sindaco della capitale, considerato fino a domenica pomeriggio il candidato favorito. Solís ha raccolto il 30,8% dei voti, un risultato insperato, dato il quarto posto assegnatogli dai sondaggi pre-elettorali, contro il 29,6% di Araya, il cui partito ha ottenuto il maggior numero di mandati presidenziali nella storia del Paese. Il 6 aprile l’elettorato del Costa Rica (circa 3 milioni di cittadini) tornerà alle urne per un ballottaggio che si prospetta con un alto tasso di astensionismo: già nel primo turno è stato del 31,9%, un punto percentuale in più rispetto alle presidenziali del 2010.
La “Svizzera del Centro America”, come è generalmente definito il Costa Rica, ha costituito un esempio di democrazia, stabilità e crescita economica nel turbolento scenario geopolitico centro e latino-americano. Privo di esercito dal 1949, con un sistema politico basato sulla rappresentatività e la pace, uno sviluppo economico sostenibile e a tutela del suo incredibile patrimonio ambientale (il 15% della biodiversità del globo è raccolto nei suoi oltre 50.000 km quadrati), il Paese dei ticos (come si autodefiniscono i suoi abitanti) affronta tuttavia una crisi latente dai molteplici aspetti e dalle imprevedibili conseguenze. Dalla prima metà del XIX secolo la storia politica del Paese (Repubblica indipendente dal 1821) è stata caratterizzata dal consolidamento del sistema democratico (e soprattutto pacifico, a differenza di quanto accaduto nei vicini Stati dell’area), a cui si è unita l’introduzione graduale di riforme liberali nell’economia, consentendo da una parte il consolidamento del ruolo dello Stato e del suo intervento in tutti i settori della vita del Paese, dall’altro evitando la nascita e la radicalizzazione di regimi autoritari e dittatoriali. Questa linea d’azione rappresenta l’aspetto più importante dell’orientamento dei partiti politici, dei gruppi sociali e della società civile, sempre perseguito nonostante la forte contrapposizione interna al Paese negli anni Quaranta del XX secolo, culminata in un colpo di Stato e in una breve guerra civile nel 1948 (l‘unica nella storia del Costa Rica), che segna la nascita della Seconda Repubblica, caratterizzata da un’ancor più decisa spinta alle riforme. È tra il 1949 e il 1980, infatti, che si consolida il moderno Costa Rica, alla base del quale sottende un patto sociale molto chiaro tra comunità civile e classe dirigente: abolizione dell’esercito e pacifismo, estensione del sistema del Welfare a tutti gli strati della popolazione, rafforzamento dell’assistenza sanitaria e dell’istruzione pubblica, sviluppo del benessere collettivo.
Anche oggi questo accordo fondamentale sembra non essere compromesso, poiché il sistema democratico e la stabilità economica rimangono i punti fermi della vita politica e sociale. Tuttavia lo sviluppo di nuovi orientamenti politici e una maggiore dinamicità in ambito economico internazionale lasciano intravedere nuovi scenari rispetto al passato, i cui segni più evidenti sono riscontrabili nella progressiva trasformazione del sistema dei partiti (tradizionalmente bipartisan, verso un modello multipartitico); nella composizione dei settori produttivi del sistema economico (cambiata notevolmente dal 2004 con l’adesione del Costa Rica alla Central American Free Trade Agreement); nella formazione e nella struttura delle classi sociali e nella nascita di nuovi movimenti politici (elemento di maggiore novità poiché modifica le istituzioni sociali e le condizioni di vita della società civile, essendo le prime altamente collegate alla seconda e quest’ultima fortemente dipendente dalle prime, secondo una struttura paternalista tipica ed in un certo senso unica dello Stato e della comunità costaricana). Gli aspetti sintomatici di questa mutazione spesso non sono positivi: due ex presidenti della Repubblica sono stati accusati e di seguito processati per corruzione; il numero dei votanti nelle ultime elezioni del 2010 e del 2014 è drasticamente sceso; la maggior parte della pubblica opinione lamenta una scarsa qualità della classe dirigente e del suo lavoro; il debito pubblico è fortemente aumentato, così come la disoccupazione.
Emerge quindi il deterioramento del patto sociale di sei decadi fa e lo spettro di una sua evoluzione da sistema paternalistico a sistema propagandistico (volto a garantire la persistenza di un’élite di governo che non soddisfa più le esigenze della società né la sua rappresentatività). Spetterà ai ticos e al vincitore del prossimo 6 aprile tener conto dell’evoluzione verso il nuovo, con meno certezze e più difficoltà rispetto al passato.
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