Parlare oggi di una riforma elettorale in vista delle prossime elezioni politiche pone in campo l’esigenza di dare risposta a due domande. Esistono oggi, a meno di un anno di distanza dalla fine di questa legislatura, le condizioni politiche e tecniche per varare una buona riforma elettorale? E se queste condizioni esistono verso quali obbiettivi orientare e quali strumenti adottare per costruire oggi una buona legge elettorale?
Alla prima domanda in condizioni normali tutto dovrebbe indurre a dare una risposta negativa. E questo per il rischio evidente che una riforma elettorale varata in prossimità della data delle elezioni conduca inevitabilmente a trasformare la legge elettorale, sotto l’influenza dei sondaggi, da regola del gioco oggettiva così come dovrebbe essere in strumento di lotta politica commisurato al fine di favorire la vittoria e la sconfitta di una delle forze in campo. Così come di fatto è avvenuto in Italia con le riforme elettorali più recenti, nonostante le stesse abbiano finito per dare risultati diversi da quelli immaginati.
Oggi è necessario riconoscere che il nostro Paese, sul piano della legislazione elettorale, non vive in una condizione di normalità
Oggi bisogna però riconoscere che il nostro Paese, sul piano della legislazione elettorale, non vive in una condizione di normalità almeno per due ordini di ragioni: per il fatto di dover dare con le prossime elezioni attuazione a una riforma della struttura parlamentare che, con una riduzione consistente dei parlamentari, ha anche ridotto sensibilmente lo spazio della rappresentanza, e per il fatto che la legge elettorale che oggi utilizziamo (il cd. “Rosatellum” approvato alla fine del 2017) resta probabilmente la legge che, nell’arco della nostra storia repubblicana, ha offerto prova peggiore ai fini del buon funzionamento dell’istituto parlamentare e della stessa forma di governo. Se così è, tutto induce a ritenere che, nelle condizioni date, una riforma elettorale oggi più che possibile appare necessaria.
Ma come costruire, nel poco tempo a disposizione, una legge elettorale politicamente e tecnicamente adeguata cioè in grado di migliorare, tanto sul piano della rappresentanza che della direzione politica, la funzionalità del nostro impianto istituzionale?
Cerchiamo, dunque, di individuare gli obiettivi di fondo verso cui orientare la riforma e le strumentazioni tecniche in grado di garantire la messa a punto di una legge elettorale ben commisurata allo stato presente. Finalità che, a nostro avviso, si può oggi perseguire solo muovendo da una attenta valutazione tanto dell’esperienza del passato quanto delle condizioni attuali del nostro sistema politico.
L’esperienza del passato ci ricorda che per l’elezione del Parlamento il nostro paese ha utilizzato, nei primi 45 anni della sua storia repubblicana, un sistema proporzionale pressoché puro e, nei 25 anni successivi, tre sistemi misti che hanno orientato questo sistema verso un modello maggioritario facendo leva con gradazioni diverse su strumenti come il collegio uninominale o come il premio di maggioranza. La riflessione sul passato induce, peraltro, a riconoscere che nessuna delle riforme orientate verso il maggioritario che si sono succedute dal 1993 al 2017 è riuscita a cogliere quel giusto punto di equilibrio che un sistema misto dovrebbe essere in grado di realizzare tra rappresentanza del corpo sociale e direzione della sfera pubblica. E questo pur senza considerare l’ulteriore limite di queste riforme (una delle quali, peraltro, non è mai divenuta operativa) rappresentata dai profili di incostituzionalità sanzionati in due occasioni dalla Corte costituzionale con riferimento al criterio di assegnazione del premio di maggioranza al limitato potere di scelta dei candidati da parte degli elettori.
Nessuna delle riforme orientate verso il maggioritario che si sono succedute dal 1993 al 2017 è riuscita a cogliere quel giusto punto di equilibrio che un sistema misto dovrebbe essere in grado di realizzare
Se poi passiamo a considerare l’altro aspetto – e cioè l’assetto attuale del nostro sistema politico anche alla luce delle trasformazioni in esso indotte dalla legislazione elettorale – vediamo che le maggiori criticità oggi presenti in tale sistema attengono in sostanza a tre profili che una buona legge elettorale dovrebbe impegnarsi a correggere. Il primo profilo riguarda il fallimento ormai accertato della prospettiva bipolare perseguita attraverso le precedenti riforme utilizzando lo strumento delle coalizioni. Il secondo profilo, consequenziale al primo, attiene alla frammentazione delle forze in campo, che si è aggravata nel corso delle ultime legislature e che ha condotto ad accentuare rischiosi fenomeni di trasformismo parlamentare che hanno portato allo sfaldamento della maggioranza in corso di legislatura. Il terzo profilo – tra tutti il più rischioso – attiene, infine, al distacco crescente che oggi si registra tra corpo elettorale e impianto istituzionale e che sta conducendo a fenomeni sempre più estesi di astensionismo elettorale.
Si tratta di tre profili critici che intaccano l’assetto attuale del nostro sistema politico e che vengono a rappresentare una seria minaccia per il futuro della nostra democrazia. Nelle condizioni attuali il loro contenimento e la loro correzione dovrebbero, quindi, rappresentare il primo obiettivo di qualsivoglia riforma istituzionale e, in primo luogo, di ogni riforma elettorale.
Quali strumenti in concreto adottare sul piano della legislazione elettorale per il perseguimento di questo obbiettivo? La Corte costituzionale nelle sue sentenze in tema di leggi elettorali ‑ del 2014 (la n. 1) e del 2017 (la n. 35) ‑ ha dato due indicazioni importanti che è necessario rispettare.
La prima indicazione è che il premio di maggioranza non è di per sé uno strumento incostituzionale, ma lo diviene se il premio viene assegnato senza la previsione di una soglia di accesso in grado di evitare un divario sproporzionato tra l’effettiva consistenza sociale del partito o della coalizione che guadagna il premio e la misura della sua rappresentanza parlamentare. La seconda indicazione vincolante che la Corte ha dato riguarda l’incostituzionalità di quei sistemi elettorali che, attraverso la previsione di liste interamente bloccate, sottraggono agli elettori ogni potere di scelta dei candidati.
Ora, se partiamo da queste indicazioni di per sé inderogabili e operiamo una corretta valutazione delle disfunzioni in atto nel nostro sistema politico qualche soluzione in grado di avviare una buona riforma elettorale commisurata alle condizioni presenti del nostro sistema politico e in grado di favorire il superamento di tali disfunzioni può cominciare a delinearsi.
Mi limito solamente ad accennare ad alcuni percorsi che, proprio alla luce delle considerazioni appena esposte, parrebbe oggi ragionevole avviare.
Il primo percorso – indubbiamente tra tutti il più impegnativo – è quello di un ritorno senza eccezioni al sistema proporzionale. Si tratta di un percorso già molto presente nel dibattito politico e adottato da un progetto di legge in fase avanzata di esame alla camera (A.C. 2329) che, a mio avviso, potrebbe rappresentare, con qualche assestamento, una soluzione praticabile e utile almeno per due ordini di ragioni: per il fatto che oggi occorre in qualche modo compensare la riduzione dello spazio della rappresentanza determinata dalla riduzione del numero dei parlamentari e per il fatto che l’esperienza del passato che abbiamo ricordato sembra ormai dimostrare che non esistono nella realtà italiana quegli elementi strutturali, espressi dal livello di coesione e potenziale aggregazione tra le forze in campo, in grado di garantire effetti positivi all’impiego di un sistema maggioritario fondato su coalizioni funzionanti.
Un secondo percorso da sperimentare potrebbe poi essere quello di un utilizzo più efficiente di quanto sinora avvenuto della clausola di sbarramento così da determinare una riduzione, ancorché graduale e progressiva, della frammentazione in atto. Linea su cui gli effetti della legge elettorale potrebbero trovare un rafforzamento e completamento anche sul piano dei regolamenti parlamentari.
Infine, un terzo percorso da avviare dovrebbe essere quello, imposto dalla giustizia costituzionale, di garantire all’elettore un diretto (ancorché non esclusivo) potere di scelta dei candidati: percorso che pone in campo tanto il voto di preferenza quanto il collegio uninominale e che potrebbe trovare nel sistema elettorale vigente in Germania riferimenti utili.
Resta comunque il fatto che tutte queste strade, per poter funzionare e produrre effetti positivi anche sulla lunga distanza, dovrebbero combinarsi con un funzionamento dei partiti migliore di quello che oggi è dato registrare. Questo profilo viene oggi a rinnovare l’attenzione sull’utilità di una legge generale sui partiti politici che non può certo nascere per i tempi a disposizione nella fase finale di questa legislatura: una legge generale in grado di raccogliere e armonizzare i vari spezzoni di discipline diverse varate nel corso degli anni, ma anche in grado di affrontare i problemi tuttora aperti (o malamente risolti) del finanziamento e del metodo democratico da adottare in attuazione della costituzione nella vita interna dei partiti.
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