Nonostante il bicentenario della nascita di Marx abbia ravvivato l’interesse per alcuni filoni del marxismo e per il comunismo, oggi che alla base delle difficoltà di tutte le sinistre e dell’intero schieramento democratico c’è un disorientamento più generale, le cui implicazioni politico-elettorali sembrano beneficiare soprattutto le destre populiste, è difficile negare i numerosi fondamenti oggettivi sollecitanti il processo di trasformazione del Pci avviato da Achille Occhetto con il crollo del muro di Berlino alla fine del 1989. Poiché il disorientamento odierno è generato sia da ragioni economiche – in particolare dalle conseguenze della globalizzazione debordante e mal regolata seguita alla dissoluzione dei regimi del socialismo reale – sia da ragioni culturali e morali, per ripoliticizzare il mondo occorre una riabilitazione della dimensione spirituale, simbolica, morale, simile a quella che, in qualche modo, venne tentata con la «svolta» della Bolognina e che, al tempo stesso, in quelle circostanze fu carente sotto vari versanti.

La malattia di fondo si chiamò allora, e si chiama tuttora, moderatismo, con ricadute importanti oggi che un’inedita radicalizzazione è perseguita dalle destre: con il moderatismo quella che è deperita negli eredi del Pci e più in generale nella sinistra non è tanto la capacità specifica di articolare proposte e di identificare misure, quanto l’attitudine a ideare una progettualità slanciata sulla speranza e sul futuro, a immaginare progetti con forte carica di mobilitazione ideale. Avere trascurato la dimensione della battaglia ideativa e progettuale, pensando che il crollo delle ideologie comportasse l’abbandono di ogni ricerca sulle strutture e sui profili «identitari» dei partiti e delle forze politiche e interpretando in questo senso riduttivo la cosiddetta «vocazione maggioritaria», ha spinto anche la sinistra verso l’indistinzione e il neocentrismo e ha rischiato di privarla strategicamente della propria autonomia politica. È stato giusto aver tentato di far rinascere la sinistra cessando di rivolgere nostalgicamente la testa all’indietro. Ma il processo andava spinto più a fondo: al tempo stesso con più rigore e con più radicalità, dando impulso a un impegno collettivo di maturazione lungo il crinale delle grandi eterodossie del pensiero democratico moderno, da Keynes a Sen, da Rawls a Habermas (senza limitarsi a citarli più o meno rapsodicamente). Non a caso le parole «democrazia» e «democratico » – così importanti nell’arduo passaggio che portò dal Pci al Pds e ai Ds, e nel 2007 alla formazione del Pd – mantengono intatte per la sinistra il loro valore e la loro attualità, ma anche le loro domande sostanziali e i loro contenuti esigenziali.

 

[L'articolo completo pubblicato sul "Mulino" n. 5/19, pp. 788-794, è acquistabile qui]