"Eventuali cambiamenti nella struttura della manovra dovrebbero andare nella direzione di ridurre il peso degli aumenti delle entrate, accrescere il ruolo delle misure strutturali, minimizzare gli effetti negativi sul prodotto, contenere l’incertezza circa l’attuazione di alcune misure (quali la delega fiscale e assistenziale e le modalità con cui verrà esercitata la relativa clausola di salvaguardia)". Così Ignazio Visco, vice-direttore generale della Banca d’Italia, nella sua audizione al Senato nella mattina del 30 agosto, solo poche ore dopo il parto del “porcellum” delle manovre (copyright di Mario Deaglio), che ha modificato la prima versione della manovra che aveva fatto grondare sangue al presidente del Consiglio, ha cercato di non vanificare il lavoro di analisi svolto dalla Banca d’Italia, fornendo almeno alcune linee guida ai suoi interlocutori circa “eventuali” (ovvio eufemismo) modifiche. Inutile ricordare che la seconda versione è stata stravolta da due successive, almeno al momento in cui si scrive. Incidentalmente, le audizioni di istituzioni come Banca d’Italia, Istat, Corte dei Conti quella mattina, su un testo di proposta modificato nella notte, sono un esempio di come questo modo di prendere decisioni e di approvarle in Consiglio dei Ministri, spesso a insaputa dei votanti (vedasi le dichiarazioni del Presidente del Consiglio sulla durata di alcune misure fiscali), rappresenti uno spreco cospicuo, soprattutto di intelligenza di personale pubblico altamente qualificato, distratto da altri compiti (e quindi “improduttivo”).

Nel merito, Visco ha fornito indicazioni su come promuovere la crescita del Paese riprendendo il catalogo degli otto punti enunciati da Draghi nella sua ultima Relazione da governatore della Banca d’Italia. Non è questa la sede, dati i limiti di spazio, per una valutazione delle proposte; se ne può però considerare il quadro di riferimento generale, per trarne alcune considerazioni circa le peculiarità del processo decisionale dell’attuale governo, specie agli occhi degli investitori e dei governi esteri.

Nelle Considerazioni finali Draghi, dopo aver solo pochi mesi prima indicato la Germania come modello di riferimento per l’economia italiana, è ripiegato sul secondo della classe, la Francia, perché forse esempio meno irraggiungibile. E tuttavia, proprio poche settimane prima, la Francia aveva fornito un esempio di come un governo responsabile si ponga rispetto all’obiettivo primario della crescita. L’ufficio del presidente del Consiglio ha pubblicato in rete un rapporto di esperti dal titolo France 2030: Cinq scénarios de croissance. Imprese, sindacati, altre forze sociali, istituzioni, partiti di maggioranza e di opposizione hanno così avuto una base su cui individuare strategie opportune per raggiungere l’obiettivo condiviso - la crescita - su un orizzonte che non è quello del sondaggio giornaliero né della più vicina scadenza elettorale. Gli investitori esteri possono inoltre valutare sul medio termine la convenienza relativa della Francia sapendo come questo paese, ai livelli decisionali massimi, prefigura il proprio avvenire.

E’ questo un elemento che riduce l’incertezza, un fattore che teoria economica, esperienze storiche e semplice buon senso indicano come nocivo a scelte di medio-lungo periodo, che devono fondarsi su calcoli dell’andamento atteso di variabili economiche.

Si diceva dell’ultima Relazione da governatore di Draghi. In effetti, da giugno è noto che da novembre presiederà la Bce. Cosa ci si sarebbe dovuto aspettare da un Paese che voglia ridurre l’incertezza per gli investitori esteri? Ovvio: l’indicazione a spron battuto del suo successore in Banca d’Italia, una delle poche istituzioni di indiscusso prestigio in Italia e all’estero, e ciò per due buone ragioni. La prima, evitare di indebolire la credibilità di un futuro presidente della Bce super partes, a causa del coinvolgimento nelle sorti dell’economia del suo Paese, specie quando la Bce è già coinvolta, e prevedibilmente potrebbe o dovrebbe esserlo ancora, per sostenere le quotazioni del debito pubblico italiano. La seconda, fornire con il governatore designato un punto di riferimento autorevole agli attori dell’economia italiana – in primis alle banche e agli altri intermediari da vigilare - e alla stessa struttura della Banca d’Italia, e dunque anche agli investitori esteri. Ancora una volta, una modalità per ridurre l’incertezza.

Nei fatti, ancora a inizio settembre non si sa chi sarà il prossimo governatore. I giornali hanno riportato, senza smentite, iniziative in varie occasioni del ministro dell’Economia perché sia nominato un suo stretto collaboratore, il direttore generale del ministero stesso. Si tratta dello stesso ministro che solo due anni fa aveva provato, noncurante dei trattati istitutivi dell’Unione Monetaria, a mettere le mani sulle riserve auree della Banca d’Italia, e dunque del sistema delle banche centrali europee, sotto forma di una tassazione sulle plusvalenze auree.

Mettendosi nei panni di un investitore estero, è difficile immaginare quale valutazione può dare sulla gestione economica dell’Italia, e ciò senza dover scomodare i cattivi di turno nell’immaginario collettivo, a partire dalle agenzie di rating?

E’ paradossale che queste nozioni elementari di educazione finanziaria, su cui da diversi anni si cerca di promuovere una migliore consapevolezza del cittadino/risparmiatore sembrino del tutto esclusi dal quadro di riferimento concettuale dei governanti le cui decisioni quegli stessi “studenti” dovrebbero valutare quanto a grado di sensatezza e credibilità.