Il rapporto fra città e montagna è basato su un legame storicamente forte, dipendente da una molteplicità di fattori condizioni ecologiche, caratteristiche storico-culturali, dinamiche demografiche e diffusione dei modelli di sviluppo. Si pensi all’impatto che nel secolo scorso il modello di sviluppo fordista ha avuto sui territori montani:da un lato, la città-fabbrica ha fatto scivolare verso la pianura una grande quantità di capitale umano sotto forma di forza lavoro, con l’idea che nella città fosse possibile trovare migliori condizioni di vita e di impiego, sicuramente meno dure di quelle della montagna; dall’altro lato, lo sviluppo fordista ha modificato nel tempo il ruolo della montagna, proiettando su di essa un’immagine un po’ nostalgica e un po’ fiabesca come luogo dell’idillio rurale oppure, anche peggio, come luogo per eccellenza del loisir, quale sfondo eccezionale per attività da svolgere nel tempo libero (la pratica dello sci alpino in primis). Tutto questo in netta contrapposizione con l’immagine della città inquinante e grigia delle ciminiere di pianura. E gli effetti sono noti: spopolamento, abbandono, declino demografico e sociale in molte aree montane del Paese, così come il concentrarsi in alcune aree di alta quota di una pesante monocultura del turismo che ha trasfigurato i paesaggi, la cultura locale e gli stili di vita.

Queste dinamiche, seppur opposte, hanno segnato profondamente i territori montani del nostro Paese con conseguenze anche molto gravi: perdita del presidio territoriale, di importanti pezzi della produzione del settore primario, di culture, tradizioni e saper fare locale, degrado del patrimonio architettonico e ambientale fino all’impoverimento delle identità locali attraverso gravi lacerazioni che hanno portato spesso a un indebolimento della socio-diversità.

Parallelamente, abbiamo visto sorgere grandi comprensori sciistici, seconde case, alberghi, infrastrutture viarie per il traffico di persone e merci ai valichi alpini, «luoghi olimpici», e in tempi più recenti anche spazi di wellness e di divertimento, insieme a una messa in scena della vita di montagna attraverso sfilate, sagre ecc. quale espressione di puro folklore creato ad hoc per il turista.

Oggi queste due facce della montagna sono entrate in una fase di crisi/trasformazione e in molti casi è stato avviato un vero e proprio processo di cambiamento. Una sorta di paradosso nel percorso di sviluppo sta investendo la montagna: proprio la montagna dell’abbandono, grazie al disinteresse verso questi luoghi delle pressanti forze esterne della città, ha potuto avviare esperienze innovative che vanno dalla creazione dell’albergo diffuso alla sperimentazione di una serie di attività economiche integrate legate in parte al turismo dolce, in parte all’artigianato e al saper fare locale, intercettando una fetta relativamente recente del mercato del turismo interessato al contatto con la natura e la storia, mentre i tradizionali paradisi dello sci risultano essere mercati saturi e, in questa fase pandemica più che mai, devono cercare una riconversione in termini «produttivi».

Una simile situazione porta con sé un ripensamento profondo del rapporto città-montagna, che risulta sempre meno inscrivibile dentro una dualità di funzioni e poteri e dentro un certo mainstream culturale. Ciò è favorito anche dal fatto che l’urbanità è diventata essa stessa parte della montagna. Se consideriamo le Alpi in particolare, esse contano una presenza di centri urbani ben più importanti e numerosi di quanto la relativa scarsità di risorse del territorio montano e il conse- guente debole popolamento potrebbero far pensare.

Siamo oggi di fronte a un territorio in cui le città situate nel cuore alpino si pongono sempre più come nodi di reti globali non solo in senso metaforico ma anche fisico (si pensi alla realizzazione dei corridoi infrastrutturali transeuropei) e posseggono un cultural heritage tipicamente europeo derivante dall’incontro e dall’ibridazione nella lunga durata storica di componenti linguistiche, artistiche, tecnologiche e di pensiero.

 

[L'articolo completo è pubblicato sul "Mulino" n. 6/20, pp. 963-969. Il fascicolo è acquistabile qui]