Matteo Renzi, da qualche tempo, suscita molta curiosità e interesse. Per la sua giovane età, per il suo stile, per la sua popolarità. È identificato come il salvatore dell’Italia, ma anche, talvolta, dell’Europa, per non dire della sinistra. Ora tocca a Manuel Valls, nominato primo ministro francese dal presidente Hollande dopo la disfatta socialista alle amministrative del 23 e 30 marzo scorsi, attirare l’attenzione dei media e degli osservatori. Ma quali sono i punti in comune e le differenze tra i due uomini politici?
Entrambi sono dei virtuosi della comunicazione, a proprio agio tanto in televisione quanto nelle occasioni pubbliche o sui social network: sono dei leader pienamente in sintonia con la democrazia del pubblico. Si mostrano determinati, decisi ad agire, risoluti, a volte rudi e persino un po’ autoritari, ma in linea con l’aspirazione di molti loro connazionali di disporre di un capitano che indichi loro la rotta. Entrambi appaiono svincolati dalle ideologie e pronti a spiazzare la propria parte politica per lanciare riforme in favore delle imprese, del lavoro e del potere di acquisto dei salari più bassi. Intendono inoltre ridurre la spesa pubblica agendo sui costi della politica. Entrambi si scontrano con resistenze all’interno del loro partito e della loro maggioranza parlamentare, che contano di aggirare, tuttavia, facendo leva sulla popolarità di cui godono nell’opinione pubblica. Entrambi, infine, hanno la singolare capacità di attirare la simpatia degli elettori di orientamento diverso dal loro.
Ma le differenze sono altrettanto numerose delle affinità. Renzi, di dieci anni più giovane di Valls, proviene dalla cultura democristiana, mentre Valls è un socialista. Il presidente del Consiglio italiano è riuscito a neutralizzare, e poi, in parte, a strumentalizzare il Pd per la sua propria gloria - benché il processo sia ancora lontano dal concludersi. Il primo ministro francese, invece, è decisamente in minoranza nel suo partito. Il Pd ha da tempo realizzato una muta culturale e identitaria che lo ha allontanato dai confini della sinistra classica, nonostante abbia aderito al Partito socialista europeo. Non è il caso del Partito socialista francese, che, certo, si dichiara riformista, ma che continua a fare riferimento a una cultura fortemente ancorata a sinistra e resta intimidito dalla pressione della "sinistra della sinistra". Renzi non esita a stringere un patto con Silvio Berlusconi per poter intraprendere la riforma della legge elettorale e altre riforme istituzionali che non sono di attualità in Francia; inoltre ha centralizzato il potere a Palazzo Chigi, mentre Manuel Valls continuerà a sottostare all’autorità del presidente della Repubblica che, benché indebolito, ha sempre, costituzionalmente, un potere considerevole.
Comunque, ognuno a suo modo – più intellettuale per Valls, più pragmatico per Renzi -, entrambi i leader incarnano due voci di una sinistra in via di rinnovamento, desiderosa di adattarsi alle sfide contemporanee.
Riproduzione riservata