Le Autorità di regolazione dei mercati sono parti essenziali del sistema di istituzioni che governa l’economia di oggi, in ogni Paese. La costruzione di questo sistema in Italia è partita tardi, ma ha prodotto istituzioni stimate e insostituibili. Ogni valutazione deve partire di qui. Vediamo l’origine. Nel XX secolo grandi comparti dell’economia occidentale si sono sviluppati vertiginosamente nella forma di mercati competitivi, ricchi di innovazioni che aprirono prospettive di servizi migliori, ormai irrinunciabili, ma anche di rischi per il cittadino.
Questi mercati non si regolano da soli. Innanzitutto è essenziale la concorrenza, che a sua volta rischia di essere schiacciata. Un operatore tende ad accrescere la propria capacità competitiva e il proprio potere di mercato, fino a guadagnare una posizione dominante; si creano casi di abuso della posizione dominante o di accordi restrittivi della concorrenza. Per questo in tutto il mondo si sono create istituzioni apposite per tutelare la concorrenza. Negli Stati Uniti la questione è stata affrontata nel 1890. In Europa con il trattato istitutivo della Comunità nel 1957. In Italia con l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Antitrust), nel 1990.
In secondo luogo, ci sono mercati e mercati. I più pericolosi, ormai lo sappiamo bene, sono quelli finanziari, dove si scambiano azioni, obbligazioni e una gran varietà di strumenti di più recente invenzione, di cui il risparmiatore difficilmente riesce a misurare la rischiosità. Qui l’azione antitrust non basta: occorre prevenire il formarsi di situazioni pericolose, ponendo limiti all’inventiva dei soggetti interessati, richiedendo trasparenza nelle operazioni e circoscrivendo le situazioni di rischio. La libertà di ciascun operatore deve trovare un limite per evitare di far danno agli altri.
Già nel 1934, di fronte alla grande crisi economica creatasi anche per gli eccessi di una finanza sfrenata, si pensò a un soggetto che fungesse da “regolatore”. Nacque così la Securities and Exchange Commission (Sec). Quarant’anni dopo, in Italia, nacque la Consob e oggi, dopo ulteriori quarant’anni, larga parte dei suoi compiti viene svolta ormai dalla corrispondente istituzione europea (European Securities and Market Authority, Esma). I regolatori (autorità o commissioni che dir si voglia) devono essere sempre più globali perché i capitali si spostano facilmente e i mercati finanziari sono globali.
Per evitare il ripetersi della grande crisi degli anni ’30, i regolatori finanziari imposero obblighi e vincoli. Negli anni ’80 il peso dei vincoli è sembrato eccessivo, prima di là e poi di qua dell’Atlantico, e in nome dell’efficienza e della crescita si è ampiamente “de-regolato”. Troppa grazia: l’esuberanza delle attività speculative ha posto le premesse per tre successive ondate di crolli, fino a quello disastroso del 2007. Il moto pendolare della ri-regolazione è partito, di là e di qua dell’Atlantico, ma viene ostacolato dai poderosi interessi della finanza e dal fatto che le restrizioni, se non sono coordinate, provocano solo la migrazione dei capitali verso l’ambiente più favorevole.
L’apparato dei regolatori finanziari, pur imperfetto, costituisce una poderosa protezione dei risparmiatori e dello sviluppo economico: se non ci fosse saremmo veramente nella giungla.
Fuori dalla finanza, un sistema di “regolatori” è stato eretto per cercare di governare il mercato dinamicissimo delle comunicazioni. In meno di cinquant’anni siamo passati da servizi telefonici e radiotelevisivi offerti rigorosamente in monopolio locale a un mercato globale di voce e dati, di mostruose capacità di calcolo e offerte di intrattenimento audiovisivo con scelta quasi illimitata, tutto su scala globale e in frenetica concorrenza. I regolatori rincorrono questa trasformazione per assicurare che l’innovazione tumultuosa, dopo aver travolto i vecchi monopoli, non ne generi di nuovi. Anche qui, a mercati globali sarebbe bene sovraordinare regolatori globali: in mancanza, ci accontentiamo del coordinamento.
Qualcosa del genere è accaduto nel settore dell’energia e sta accadendo in quello dei trasporti. I vecchi monopoli erano spesso, in Europa, rappresentati da imprese di Stato; vi erano governi con un ministro che faceva le regole e un altro che le subiva, in quanto azionista dell’impresa di servizi. A volte la cucina delle regole stava, di fatto, in casa del soggetto regolato. È stata la liberalizzazione a porre in modo nuovo il problema di regolare bene, per proteggere l’utente e per consentire la nascita di imprese concorrenti, portatrici di innovazione e riduzione dei costi. E poiché l’impresa che vuol competere nella fornitura del servizio elettrico deve usare la rete elettrica che c’è e non è duplicabile (analogamente per il gas e per le ferrovie), s’impone un gran lavoro di leggi e norme tecniche per porre la rete a disposizione di tutti i concorrenti, senza discriminazioni. Serviva un soggetto nuovo, un regolatore indipendente non solo dalle imprese ma, per molti aspetti, dallo stesso governo.
Autorità di regolazione dei servizi a rete sono sorte in Europa, come altrove nel mondo, negli ultimi vent’anni, con tempi e modalità nazionali diverse ma entro il solco di una disciplina comunitaria che si è formata gradualmente e oggi fornisce un quadro stabile. In questo processo l’Italia non è stata né tra gli ultimi né tra i più timidi, ed ha oggi istituzioni ben inserite nel concerto europeo.
La tutela del consumatore va vista in questo contesto di concorrenza tra i fornitori del servizio. Per il piccolo consumatore il fornitore unico, soprattutto se fornito dell’etichetta di ente pubblico, rendeva la vita semplice e dava sicurezza, almeno all’apparenza. Ma non c’era uno strumento per contrastare l’inefficienza, tener bassi i costi e promuovere le innovazioni.
Oggi il consumatore deve affrontare la difficoltà e talvolta il fastidio di scegliere, ma può contare sui tecnici delle autorità che lavorano per sorvegliare costi e prezzi, misurare la qualità del servizio e imporre livelli minimi, assicurare il buon funzionamento dei mercati all’ingrosso (come la borsa elettrica) da cui le forniture al dettaglio dipendono.
Tra l’altro, queste autorità hanno almeno il pregio di seguire procedure trasparenti nell’adozione dei loro provvedimenti, consultando le parti pubblicamente. Non sono veloci, ma i tempi sono dettati dalla complessità dei temi e dalla scrupolosità delle consultazioni, non dalla ricerca di consenso politico.
La convergenza si costruisce con la consultazione tra le autorità nazionali e un graduale conferimento di poteri alle nuove autorità europee. Al di sotto e accanto al processo politico sta il lavoro tecnico condotto dalle autorità nazionali tra loro e con quelle europee: una fitta serie di incontri che servono anche a costruire una rete di rapporti e una nuova “burocrazia” europea, dotata di una base comune di principi e metodi di lavoro, di una capacità di comunicare velocemente e senza bisogno di interpreti.
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