Sembra ormai scontato che i progressi dell’intelligenza artificiale (IA) travolgeranno e stravolgeranno le nostre vite. Anche se di IA si parla da qualche decennio, è grazie ai progressi degli ultimi anni che le IA generative come ChatGpt o Dall-E di OpenAI possono produrre testi di una certa raffinatezza o immagini anche fotorealistiche pressoché indistinguibili da foto reali a partire da un input testuale (prompt). Programmi analoghi permettono la generazione di brani musicali interamente sintetici; e mentre scrivo queste righe, OpenAI ha da poco rilasciato (sia pure a pochi tester) un’IA capace di generare brevi video, Sora. È probabile dunque che in pochi mesi sarà possibile realizzare certe fantasie digitali come “il trailer dei Blues Brothers, ma girato da Sergio Leone” oppure “il festival di Sanremo 2024, ma ha vinto Geolier” (con ovvi rischi per l’informazione).
È ragionevole aspettarsi che queste IA saranno asservite anche a fantasie di tutt’altro genere. Come recita la “Regola 34 di Internet”, se qualcosa esiste online, esiste anche la sua versione porno; in effetti, i report che parlano della diffusione di immagini e video sintetici concordano sul fatto che l’uso principale delle tecnologie per produrre deepfake è la produzione di materiale pornografico. Nulla lascia pensare che ciò possa cambiare in futuro.
D’altro canto, la rete già pullula di modelli e (soprattutto) modelle virtuali, pronti a contendere alle controparti in carne e ossa il ruolo di “sogni erotici” – nonché, più prosaicamente, una fetta di mercato. Magari avrete sentito parlare di Aitana Lopez: spagnola, 25enne, capelli rosa, ama la palestra, non esiste. Ma la sua inesistenza non ha impedito di generare profitti per migliaia di dollari per l’agenzia proprietaria di Aitana, la Clueless Agency.
Dunque, assieme a disegnatori, copywriter e compositori (tra le tante categorie), il timore di dover sostenere una concorrenza impari con l’IA è condiviso da chi per mestiere genera contenuti digitali per adulti. Problematico? Certamente. Al punto che piattaforme come OnlyFans hanno le ore contate? Questo invece non è affatto ovvio.
Non la pensa così per esempio Laura Lux, creator su OnlyFans, che un anno fa scriveva su Twitter (ora X):
“Chiunque pensi che le immagini generate dall'intelligenza artificiale di donne sexy e nude rovineranno l'economia di Onlyfans per le donne reali ha frainteso profondamente la natura di Onlyfans. La gente si iscrive al mio OnlyFans perché vuole vedere nuda me, sulla base di un legame parasociale creato seguendomi su altre piattaforme di social media. Le ‘tette di un personaggio realistico generato dall'intelligenza artificiale’ non saranno mai interessanti quanto le ‘tette di una ragazza che seguo su YouTube’, a prescindere da quanto ‘perfetta’ o convenzionalmente attraente sia l'immagine generata dall'intelligenza artificiale”.
Intuitivamente, la spiegazione di Laura Lux mi pare convincente. Ma è corretta? Per verificarlo, nel 2023 assieme a un team di psicologi abbiamo svolto un paio di esperimenti volti a misurare se le persone fossero maggiormente eccitate dalle fotografie ritraenti persone reali oppure dalle immagini generate da un’IA. Spoiler: Laura Lux sembra avere ragione – come suggerisce d’altronde il titolo del nostro studio, Real is the New Sexy (anche se sarebbe più corretto parlare in termini comparativi, ossia “Real is Sexier”). Chi volesse leggerlo per intero può trovarlo in accesso aperto sulla rivista “Cognition & Emotion”, ma il succo, in breve, è il seguente.
Nel primo esperimento i soggetti sperimentali vedevano 60 immagini di uomini o donne (in base al genere preferito dal soggetto) in biancheria intima, in pose sensuali. A ogni immagine erano associate due domande: “quanto ti sembra reale, anziché generata con IA?”; e “quanta eccitazione ti provoca?”. Ai soggetti abbiamo spiegato che parte di queste immagini erano creazioni di un algoritmo. Ebbene, abbiamo “mentito”: la verità però è che tutte le immagini erano foto: l’esperimento non era infatti volto a verificare che le immagini generate con IA possano risultare indistinguibili dalle fotografie (è già appurato che è così), quanto piuttosto sondare l’effetto di credere, o anche solo sospettare, che quel grumo di pixel colorati non rimanda a una persona in carne ossa. Come anticipato, le immagini ritenute più realistiche sono state anche ritenute leggermente più eccitanti.
I soggetti sperimentali vedevano 60 immagini di uomini o donne in biancheria intima, in pose sensuali: le immagini ritenute più realistiche sono state ritenute leggermente più eccitanti
Questo risultato, però, da solo non basta a dichiarare che “real is the new sexy”. Difatti, a ben vedere è compatibile anche con la lettura opposta, cioè “sexy is the new real”: l’immagine mi sembra più reale perché mi fa più effetto. Per verificare l’ipotesi che ci interessava abbiamo dunque svolto un secondo esperimento, simile al primo tranne che per una piccola variante: invece che chiedere ai soggetti di indovinare quali immagini fossero reali, abbiamo chiesto a un primo gruppo di giudicare quanto fossero eccitati da 30 immagini che abbiamo presentato come foto e da altre 30 presentate come generate da IA … salvo invertire le etichette per il secondo gruppo. La stessa immagine, insomma, veniva presentata a taluni come una foto, ad altri come fittizia. Congruentemente alla nostra ipotesi, l’eccitazione in risposta alle immagini risultava leggermente più alta quando queste venivano presentate come foto piuttosto che come creazioni dell’IA.
Quando io e i colleghi l’abbiamo presentato in alcuni consessi, questo studio ha sollevato – oltre alle sopracciglia di qualche collega un po’ bigotto – diverse domande. Provo a riportarne alcune, assieme ad alcune risposte:
“Come ti è venuta l’idea per questo studio?”. A motivare il mio interesse originario non sono stati tanto i destini dei sex workers che mostravano la loro intimità consensualmente in cambio di denaro, quanto piuttosto quelli delle vittime – purtroppo numerosissime – di diffusione non consensuale di contenuti intimi; per intenderci, il fenomeno che spesso viene chiamato revenge porn, ma che dovremo smettere di chiamare così, tra le altre cose perché promuove il victim blaming (“se solo non mandavi in giro le tue foto intime…” suona pericolosamente simile a “se solo non avessi indossato la minigonna…”). Di primo acchito, si potrebbe pensare infatti che la facilità con cui le nuove IA permettono di “spogliare” digitalmente le persone con un click rischi di aggravare esponenzialmente il fenomeno. Tuttavia, io e Cristina Voto dell’Università di Torino avevamo formulato una profezia controintuitiva: se le fotografie di persone reali – e in quanto tali più eccitanti – finiranno per diventare indistinguibili a occhio nudo dalle immagini – meno eccitanti – generate dall’IA, forse vi è ragione di sperare che questo fornisca un disincentivo. Tanto più considerato che ai furfanti che trafficano immagini non consensuali non interessa tanto vedere i corpi di persone nude (per quello c’è già la pornografia tradizionale) quanto piuttosto violare l’intimità di persone realmente esistenti.
A motivare l’interesse per lo studio non sono stati tanto i destini dei sex worker, quanto piuttosto delle vittime di diffusione non consensuale di contenuti intimi
“Sì, va bene, ma allora quelli che si eccitano con i fumetti erotici?”. Questa domanda, che ci hanno posto innumerevoli volte, nasce in realtà da un fraintendimento dei nostri risultati. Anche se forse il titolo può trarre in inganno, i nostri risultati non ci autorizzano a dire “solo il reale è sexy” – come spiegare altrimenti il successo di fumettisti erotici come Milo Manara o di influencer virtuali come la succitata Aitana Lopez? Piuttosto, ciò che i nostri risultati mostrerebbero è che “ciò che è ritenuto reale è anche ritenuto più sexy di ciò che non lo è, a parità di condizioni”. Questo ovviamente apre una domanda tutt’altro che banale: ma le condizioni saranno davvero pari? Per intenderci, anche se una modella in carne e ossa come Laura Lux gode del vantaggio competitivo derivante di essere una persona reale, la Clueless Agency, l’agenzia proprietaria di Aitana Lopez, ha chiarito esplicitamente che lavorare con una modella digitale ha comunque un sacco di vantaggi, quali ad esempio che è disponibile 24 ore su 24, 7 giorni su 7 e non richiede contratti. Il tipo di vantaggi derivanti, insomma, dall’essere proprietari anziché committenti. D’altro canto, per risultare più eccitanti ciò che serve non è essere reali quanto piuttosto essere percepiti come tali; e a ben vedere, non essere persone reali non preclude necessariamente la possibilità di essere percepiti come reali (almeno un po’). Alla Clueless Agency l’hanno capito bene, visto che nei profili social di Aitana troviamo non solo fotografie, ma anche brandelli autobiografici con lo scopo evidente di conferire al personaggio una certa credibilità. Ma lo sanno bene anche gli studiosi di social robotics , che studiano le conseguenze di ciò che accade quando antropomorfizziamo i robot; o le persone, sempre più numerose, che finiscono per innamorarsi di chatbot come Replika.
“Quanto sono solidi i vostri risultati?”. In uno slogan, risponderei che sono al contempo abbastanza solidi e abbastanza provvisori da meritare una verifica e un approfondimento. Da un lato, infatti, abbiamo preso tutte le cautele metodologiche appropriate a uno studio esplorativo di questa natura: per esempio, abbiamo dichiarato a priori le nostre ipotesi e i nostri protocolli sperimentali su un apposito archivio online, una pratica nota come pre-registrazione, volta ad assicurarsi che i ricercatori non cambino la loro narrazione in corso d’opera in base ai risultati che trovano. Ed è pur vero che i risultati di studi simili, inerenti ad esempio la percezione di videoclip i cui contenuti sono stati presentati talvolta come reali (documentari) talaltra come finzionali (film), vanno nella stessa direzione. Dall’altro lato, come è inevitabile per studi esplorativi di questa natura, l’interpretazione dei risultati è ostaggio di limiti metodologici legati al tipo di dato raccolto (in questo caso le dichiarazioni esplicite dei partecipanti) e alla generalizzabilità del campione sperimentale (soggetti italiani attorno ai trent’anni). Non possiamo ancora dire, insomma, se quanto abbiamo osservato in un campione tutto italiano valga anche in Cina o in Colombia; e neppure se a una minore eccitazione esplicitamente dichiarata di fronte a immagini fake corrisponda una minore attivazione corporea.
In attesa di ulteriori studi che convalidino e approfondiscano i risultati iniziali (ci stiamo lavorando), è comunque il caso di avviare una seria riflessione sul nostro rapporto con le immagini e con le persone – reali o meno – in esse ritratte.
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