I due popoli delle primarie e la partenogenesi del Pd. Il voto di domenica 25 è ormai lontano. L’attenzione si sta concentrando sul ballottaggio del 2 dicembre. E la televisione ci ha appena proposto un vivace faccia a faccia fra Bersani e Renzi. Sugli esiti del voto si è già detto quasi tutto, in particolare per quel che concerne l’analisi dei risultati su base aggregata. A noi di Candidate & Leader Selection tocca invece mettere a fuoco il profilo dei cosiddetti selettori, il “popolo delle primarie” che si è recato alle urne per scegliere il proprio leader alle elezioni politiche del prossimo anno.
Radiografando gli elettori che hanno celebrato il rito di “Italia Bene Comune” vediamo emergere chiaramente due immagini, che in buona sostanza riflettono i cliché da tempo attribuiti ai due contendenti che si confronteranno nel ballottaggio del 2 dicembre. Da una parte un elettorato fatto di veterani, cioè elettori abituati a mobilitarsi nelle primarie, che devono la loro informazione soprattutto al partito di appartenenza o alla stampa quotidiana, sostanzialmente impermeabile alle sollecitazioni di una campagna come quella che ormai volge al termine, che si intende chiaramente di centrosinistra, costituito in larga maggioranza da persone sopra ai 55 anni e da pensionati, mediamente poco istruiti, che esprime un voto di appartenenza di tipo identitario. Dall’altra un elettorato fatto di matricole, cioè elettori che partecipano per la prima volta nella loro vita a una consultazione primaria, che devono la loro informazione soprattutto alla televisione e al web (oltre che alla carta stampata), più aperto alle sollecitazioni anche emotive di quella che per molti di loro è stata una campagna elettorale vissuta intensamente, che si compone per quasi un quarto di elettori di centro, costituito in larga maggioranza da persone fra i 35 e i 45 anni, collocati soprattutto nel mondo delle libere professioni e degli studenti, in gran parte diplomati e laureati, che esprime un voto di opinione più volatile e di recente formazione.
Il primo è il popolo di Bersani e il secondo è il popolo di Renzi. Due famiglie elettorali antropologicamente differenti. L’una espressione della tradizione dei padri fondatori e l’altra figlia dei nativi di un partito i cui contorni non sono ancora definiti. Due modi diversi di intendere la politica. Ne è dimostrazione anche la principale motivazione per cui ciascuno dei due popoli ha scelto di votare per il proprio candidato. Con gli elettori di Renzi che rintracciano la ragione principale del proprio voto nel rinnovamento della politica e dei partiti, ribadendo così gli intenti di rottamazione che il candidato da loro prescelto chiaramente esprime fin dalla sua discesa in campo. E con gli elettori di Bersani che, viceversa, ritengono il proprio candidato più adatto a governare l’Italia e rappresentarla in Europa, riconoscendogli un’affidabilità che gli altri contendenti non hanno (vedi immagine).
Comunque vada a finire domenica 2 dicembre, queste primarie stanno contribuendo a inaugurare all’interno del centrosinistra una fase di profonde trasformazioni. Cioè a provocare l’avvio di quei cambiamenti che l’evoluzione senza soluzione di continuità delle vicende post-comunista e post-democristiana non avevano fin qui prodotto. Il confronto fra Bersani e Renzi non riguarda soltanto la scelta del prossimo candidato del centrosinistra a Palazzo Chigi. E non sarà certo la probabile vittoria di Bersani a chiudere una volta per tutte la partita. Sullo sfondo di tale confronto sta infatti prendendo forma un mutamento del centrosinistra che, accompagnato da inevitabili dinamiche demografiche e generazionali, potrà forse contribuire a produrre la partenogenesi di quel Partito democratico che fino a oggi non si era ancora verificata.
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